Magnifici: come tutto ebbe inizio - di Matteo Scarduelli

Creato il 19 ottobre 2012 da H2opolo @edoardo_osti
" Cosa chiede ogni atleta? Essere visto. Essere cosciente che quello che sta facendo colpisca qualcuno o se stesso, dia un senso alla sua cazzo di giornata passata dietro un computer o a rappresentare un’azienda
C'è un circolo virtuoso nello sport: più ti diverti più ti alleni; più ti alleni più migliori; più migliori più ti diverti."
"I più esperti insegnavano ai nuovi lo sporco lavoro. Impugna, carica, finta e scarica una mina; sopra la testa del portiere è meglio"

Tutte le storie che si rispettino iniziano con c’era un volta e non farà eccezione questa; un racconto che cerca di capire come in un paesino dimenticato da Dio nella periferia di Milano, in cui le notti d’inverno la nebbia rende tutto ugualmente grigio, in cui alle 19.30 non si trova più nulla di aperto, dove tra i campi di granturco e gli enormi mostri dei centri commerciali si stagliano enormi parcheggi vuoti, sia nata una squadra di pallanuoto.
Erano pochi e senza una guida. Si chiamavano Magnifici, anche se di magnifico avevano solo il nome. Alle partite si presentavano come la squadra cuscinetto. Una formazione completa e le riserve rappresentavano un privilegio che non si potevano permettere. Dopo un anno di liti e incomprensioni capirono che alla squadra mancava qualcosa. Qualcuno che potesse tirare fuori quello che c’era di buono da quei corpi bagnati e da quei gesti scoordinati.
Chiedersi perché a 27 anni si inizia ad allenare una squadra è lecito, rispondersi un po’ più difficile. Di fronte ai “veri allenatori” lui non aveva né l’esperienza né il talento di un grande pallanuotista. Furono le sue ginocchia troppo deboli ad indicargli una strada che neppure lui sapeva dove lo avrebbe portato.
La pallanuoto, come tutti sanno, è uno sport che ha un altissimo numero di abbandoni dopo la fase adolescenziale. Perché? Prima di tutto è uno sport che ti stronca fisicamente. Forse il più faticoso mai inventato. Nessuno aspira a guadagnare milioni giocando a pallanuoto e infine il nostro sistema mediatico se n’è sempre infischiato. Come costruire una squadra e un gruppo con queste premesse?
Il coach pensò subito di aprirsi a nuovi strumentini che dieci anni fa le squadre non avevano,: il web, un brand e il passa parola. Nel giro di qualche settimana ognuno dei giocatori si impegnò a ritrovare un amico, magari di vecchia data che aveva iniziato a giocare e poi mollato la pallanuoto. L’obiettivo era cercare di ricreare un gruppo affiatato che fosse motivato ad attraversare banchi di nebbia e parcheggi deserti nella periferia di Milano per un obiettivo comune.
C’è chi lo fa per il suo corpo, chi per non dimenticare come era giocare da bambini, chi perché ha trovato degli amici e chi perché vuole sfogare la rabbia o la frustrazione di una giornata passata dietro una scrivania.
Rapidamente il gruppo si infittisce a tal punto da poter cavalcare un sogno più grande della realtà. Si, alcuni magnifici erano convinti di allenarsi per le Olimpiadi tanto era la voglia di spaccare il mondo.
Cosa chiede ogni atleta? Essere visto. Essere cosciente che quello che sta facendo colpisca qualcuno o se stesso, dia un senso alla sua cazzo di giornata passata dietro un computer o a rappresentare un’azienda
C'è un circolo virtuoso nello sport: più ti diverti più ti alleni; più ti alleni più migliori; più migliori più ti diverti.
Per far tutti ciò però devi trovare una o più persone che siano capaci di tenere il filo di quello che stai facendo e farti innamorare di un progetto. Vedere che dopo alcuni giorni c’erano le nostre figurine pubblicamente postate su facebook con le facce di tutti è stata la prima mossa strategica a risvegliare lo spirito infantile sepolto nei lontani ricordi e capacitarci della nostra esistenza. Noi eravamo quelli, e tutti nostri amici sapevano che a pallanuoto si mette una calottina in testa per proteggerci le orecchie dalle gomitate o dalle pallonate. Era sport fico dopotutto. La ragazza che ci metteva il like era il secondo obiettivo. Ci sentivamo importanti, infine anche i pallanuotisti avevo il loro album di figurine virtuali..
Allenamento dopo allenamento i fisici anche dei più grassocci cominciarono a tonificarsi, perfino i fumatori pulirono un po’ i loro polmoni grigi. Tempi, cronometro, flessioni, addominali, vasche su vasche per imparare a nuotare nelle agitate acque di una vasca da 25 metri by FoppiSport.
Il life long learning è quella teoria che sostiene che, anche se abbiamo finito di studiare “ufficialmente” non abbiamo mai finito di imparare. Il coach l’aveva presa sul serio e tornato dal lavoro ufficiale passava le ore a studiare meccaniche e le strategie per coinvolgere il gruppo e allo stesso tempo nuovi esercizi per dare alla squadra un minimo di idea di come ci si disponesse in campo senza scontrarsi. I più esperti insegnavano ai nuovi lo sporco lavoro. Impugna, carica, finta e scarica una mina; sopra la testa del portiere è meglio.
L’arrivo di alcuni elementi nella squadra che avevano avuto un passato in squadre giovanili agonistiche aiutò il lavoro del coach grazie a suggerimenti e dritte. Una delle qualità che un capo dovrebbe avere è l’ascolto e il saper condividere i problemi di tutti per poter migliorare la prestazione di un team. La dote della preparazione tecnica, nonostante non spiccasse nel coach, veniva tranquillamente rimpiazzata da elementi alquanto improbabili che davano alla squadra de I Magnifici un tocco di “bizarre”. Creare un inno tutto proprio è una delle esperienze più intense di team building.
Arrivarono poi le domeniche delle partite e del momento di confrontarsi sul serio. Arrivarono così anche le prime batoste. La realtà arrivò senza bussare. Le altre squadre erano nettamente più forti e la nostra preparazione atletica non era per nulla adeguata al livello di nuoto richiesto dalla competizione. IL coach ebbe però un’idea per poter mantenere alta la nostra dilagante delusione di fronte ai risultati. A gennaio 2012 fu pubblicato il primo numero virtuale della gazzetta dei magnifici: un interessante e godibile inserto virtuale che analizzava le prestazioni di ognuno di noi, con punti forti e deboli con tanto di voti e commenti tecnici sulle partite. E un po’ di figa… una strana rubrica dedicata alla grupies della pallanuoto; instancabili fidanzate o amanti pronte a seguire la squadra fino alle trasferte a Potenza ( per fortuna mai giocate). Le gazzette comparivano regolarmente e la voglia di vedere pubblicati i commenti custoditi dalla pregevole grafica della Di Cesare Line ci facevano sentire un po’ come bambini.
Il campionato finì. Vincemmo solo una partita. La reazione di gioia fu tale che i pochi spettatori sugli spalti pensarono che avessimo vinto il torneo. Un’accurata sezione dedicata alle foto della partite disputate contribuì a creare quello che si definisce come memoria storica. Un libro che diventa sempre più grande di ricordi, di immagini, di momenti Magnifici condivisi . Delusioni cocenti superati con un bicchiere di birra o una sbronza tra quelli sconosciuti in costume e calottina che ora potevi chiamare amici; che avresti visto laurearsi, sposarsi e magari avere figli.
Gli Allenamenti furono lunghissimi. Finimmo a fine Luglio e i parcheggi intorno erano ancora vuoti e grigi, la nebbia aveva lasciato il posto a quella calura che si leva dall’asfalto bruciante.
Il risultato di questa breve ma intensa esperienza è che a settembre 2012 i Magnifici hanno ricevuto moltissime richieste di ex giocatori che volevano raggiungere la squadra, forse intravedendo in quel gruppo una casa dove poter crescere ed imparare e condividere i valori di uno sport stupendo: rispetto, amicizia e sacrificio.
Questi sono i Magnifici. Giocatori pronti a diventare macchine da guerra e affrontare una nuova stagione ancora più determinati e motivati di prima.
Gli avversarvi sono avvisati; quest’anno ne vedremo delle belle. To be continued
By Matteo Scarduelli
P.S.  Pubblico questo bellissimo articolo di Matteo, ricevuto come risposta al mio appello (lo trovate qui). Trovo che tra le frasi di questa testimonianza vi siano capitoli importanti di crescita che non dovrebbero mancare (ed invece troppe volte mancano) nel bagaglio esperenziale di ogni atleta. Credo che sia la testimonianza di quanto impotante sarebbe puntare sull'attività di base per trasmettere entusiasmo per il nostro sport e per condividere sani valori che aiutano a vivere meglio.
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