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È così che ti ricordo, nel profumo di lavanda lasciato in fondo l’armadio, tra i vestiti piegati e ordinati in un cassetto. I tuoi. Nelle mille cianfrusaglie raccolte nel corso dei tuoi viaggi, quelli in cui, prima di salire sul treno, mi baciavi sulla fronte e mi dicevi che saresti tornato presto, appena il sole avrebbe scemato per dieci volte sul Mar Ligure, così azzurro dalla finestra della nostra camera. Nei pensieri appuntati dietro la parete del letto, parole sussurrate dalle tue notti insonni. Storie che non potevi trattenere dentro di te. Le dovevi far uscire fuori e imprimerle da qualche parte per non farle andare via. Un pennarello nero, tenuto sul comodino, accanto all’abat-jour era il tuo inchiostro di lettere sottili.
Nelle fotografie appese sui muri del corridoio, una dietro l’altra, a colori e in bianco e nero. Attimi di vita condivisa, rattrappiti in un tempo che sarà nostro per sempre. Giorni distesi nella mia memoria, scivolati su questa pellicola un po’ ingiallita negli angoli. I vetri delle cornici sono diventati opachi. Ma non voglio pulirli. Portano su di loro, l’impronta delle tue dita. Il ricordo di quando le hai attaccate con assoluta precisione, sorridendo se ti dicevo di metterle un po’ storte che le cose troppo dritte mi sembravano finte. Nel parquet graffiato e rovinato dai tuoi scarponi da trekking e dai piedi dei mobili comprati dal tuo rigattiere di fiducia. Dalla vernice usata per sistemarli mentre fuori il mare scatenava la sua furia tormentato dalla pioggia e le luci di casa tremavano minacciando di spegnersi e di lasciarci immersi in un buio senza uscita. Com’era bello il tuo volto baciato dalla penombra. Pelle color ambra, occhi di carbone. Le tue mani non conoscevano pause né timori. Nella scala di legno percorsa tante volte da noi, dalle tue valigie prima di ogni partenza e dopo ogni ritorno. I gradini conservano in ritagli irregolari la promessa di non cancellarti mai. Nel soggiorno, dove il divano dà l’impressione di portare incise sui cuscini la forma del tuo peso, la sagoma dei nostri abbracci, i bisbigli di quei baci dati senza lasciare spazio ad altro. Non esisteva niente di più perfetto in quei momenti. C’eravamo soli noi, ci siamo sempre stati solo noi. Nella veranda, sul dondolo coperto di polvere, con i cuscini rotti adesso. Cigolante dentro il vento. Lo guardo, lo muovo e sento a fondo, al centro di me, la consapevolezza della tua assenza. Che non ci sono più viaggi, posti dai quali aspettare di rivederti ancora. Nei fiori coltivati in giardino, rose bianche e nulla più perché il bianco, dicevi, era il mio colore. E anche se io protestavo, tu non mi ascoltavi. Sei bianca e il mondo non ti deve scalfire. Ma eri tu quello da preservare. La terra è arsa di sole, aggredita da un inverno apparentemente eterno. È tutto rimasto come allora. Come quel mattino in cui ho capito che non ti avrei più avuto con me. Mi siedo, ora, sulla scaletta del portico. Adagio una mano sulla colonna avana pallido e ci vedo scritta la tua preghiera per me. Non piangere oltre un mese. Respira. Ripercorri la nostra casa. Sorridi. Ricorda ogni momento vissuto insieme. Baciami ancora, anche se non sarò con te. Fermati sotto il portico. Impara a dirmi addio. Una volta dopo l’altra e per sempre. Ripeto ogni giorno questo rito ma non riesco a staccarmi dal tuo ricordo. Dal nostro passato. Da chi siamo stati e non saremo più. La vita mi scorre sulla pelle eppure non riesco più ad afferrarla.
Foto di toyib http://toyib.deviantart.com/
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