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Mai imporre la cultura: valorizziamola

Creato il 27 maggio 2015 da Propostalavoro @propostalavoro

Mai imporre la cultura: valorizziamolaMi affascina un paradosso: le nostre scuole traboccano di cultura che noi adulti, schiera della quale ho recentemente iniziato a far parte, cerchiamo di scardinare con metodo e pazienza, in attesa di imporre quella che a nostra volta ci è stata imposta.

Un processo certosino e laborioso…qualcuno se ne era mai accorto?

Proviamo a descrivere la scuola come se la vedessimo per la prima volta. La scuola dell'ideale collettivo – quello del Libro Cuore, della lavagna nera, del gesso, dei banchi, dei quaderni a quadretti, delle interrogazioni, del programma ministeriale, delle materie, del calendario – è conosciuta per un compito ben preciso: raccogliere schiere di ragazzi incolti e consegnare loro la Cultura con la C maiuscola, quella che va dal leggere/scrivere/far di conto, fino alla produzione di saggi brevi e analisi di funzioni algebriche, passando per quella vendemmia di nozioni delle materie umanistiche (storia, filosofia, geografia…) e scientifiche (fisica, chimica, geologia, astronomia…). Non basta: nel tempo in cui il giovane non è fisicamente a scuola (solitamente coincidente con il pomeriggio), il suo compito è continuare studi ed esercitazioni che servono a mantenere la memoria delle nozioni e la dimestichezza con gli esercizi di calcolo o di ragionamento. Il giudizio sulla "bravura" nell'essere un bravo studente – e quindi un potenziale cittadino modello – è misurato dal grado di aderenza delle conoscenze e delle abilità della persona nel sapere e nello svolgere quanto previsto dal programma ministeriale, recepito e spiegato dai docenti.

Perché il modello regga, le distrazioni devono essere minime. Non è permesso avere preferenze negli studi: la valutazione di ogni materia costituisce un addendo di pari peso nel calcolo che porta come risultato la valutazione finale sulla preparazione scolastica e comportamentale. L'iniziativa personale è confinata entro spazi determinati e ben precisi, cioè solo dove previsto dall'insegnante e solo qualora strettamente funzionale al raggiungimento degli obiettivi ministeriali. Le interferenze con il "mondo esterno" devono essere ridotte al minimo se non bandite: durante il tempo a scuola si sta a scuola, i contatti non scolastici tra gli studenti o tra gli studenti ed il mondo estero sono proibiti. Parlare col compagno di banco è punito, usare il telefonino è vietato.
Tutto questo sembra scontato ed irrinunciabile. Eppure a pensarci bene è una situazione che assume connotati grotteschi.
Cosa devono imparare i ragazzi realmente? Perché tutti questi divieti?

In fondo a questo articolo troverete un video. Guardatelo – non serve l'audio perché è sottotitolato – se ne avete tempo.
Parla del paradosso dell'educazione. Durante la scuola materna un bambino ha una creatività smisurata, che viene depotenziata nel corso del tempo. Dai 6 ai 18 anni ad una persona succedono molte cose, ma quasi tutte condividono un'esperienza comune: la scuola.

«Non vasi da riempire ma fiaccole da accendere»? Più che altro i nostri ragazzi sembrano fiaccole da non spegnere. Per anni abbiamo vissuto nel pregiudizio che i ragazzi, ma anche i bambini, non fossero portatori di cultura e che avessero bisogno di quella imposta dagli adulti.

Stando agli studi citati dal famoso esperto di pedagogia Ken Robinson, la scuola che dovrebbe insegnare il metodo, in realtà è un parcheggio dove vengono imposte ai giovani nozioni il più delle volte slegate da ogni contesto. E anche quando dovesse essere insegnato un metodo, questo non viene fatto emergere dalle capacità che gli alunni già hanno, ma spiegato ed impartito come una lezione.

Far emergere, ecco una cosa che la scuola, soprattutto quella buona, dovrebbe imparare. Non è un peccato che i talenti vengano sprecati, anziché valorizzati?
Sono per ora considerazioni molto acerbe, queste.
Verranno approfondite presto.

Simone Caroli


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