Magazine Cinema
Rimango sempre più convinto dell'esperienza irriducibile della visione, della magnifica evidenza che nessuno veda mai lo stesso film, che non esistano due visioni uguali, nemmeno se a farle è la stessa persona. L'unica vera critica cinematografica possibile è quella che ammette che un film è ciò che scava nel pensiero, un lavorio continuo ed esperienziale che prosegue anche dopo i titoli di coda. Le sue immagini si sovrappongono alle nostre, a quelle del nostro passato e del nostro presente, ci muovono e, nel migliore dei casi, arrivano addirittura a scoprirci. Non che il film visto ieri sera abbia fatto questo, ma quantomeno ha smosso le acque, ha rischiato, ha rifiutato qualsiasi facile catalogazione, è riuscito a risultare sgradevole e, un momento dopo, seducente.
Pensavo a queste cose durante la visione di "A Girl Walks Home Alone at Night" perché mi rendevo conto dei movimenti inquieti che mi agivano, dell'impossibilità di una sintesi, di un'opinione finale su questo film. Che è un horror ma è anche un western, che è un pulp ma è anche una storia d'amore con tanto di vampira. All'inizio ero come infastidito da quell'ennesimo bianco e nero stilizzato che fluiva davanti ai miei occhi, poi il film ha preso un'altra direzione, ha cambiato pelle, si è avventurato in territori imprevisti. Ed è tornato ad affascinarmi, per poi bloccarsi, e poi tornare di nuovo a turbarmi.
Due corpi, una stanza, un contatto fisico, poco altro. E subito mi rendo conto che un film che non riesce a mettermi d'accordo è, necessariamente, un film interessante: non importa se poi sia riuscito o non riuscito. All'infuori delle categorie di gusto, Ana Lily Amirpour propone un oggetto filmico mutante e imprevedibile, che ha il grande pregio di assorbire, unire, violentare codici narratologici lontani. E questo, mi pare, non è poco...
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