Magazine Cinema
di Carlo Vanzina
con Ricky Memphis, Vincenzo Salemme
Italia 2013
durata, 90
Questione di sinergie ma anche di calcolato pragmatismo. Nel primo caso parliamo delle banche che hanno finanziato il film e dei possibili riflessi che questo può avere avuto sui giudizi positivi espressi dai giornali ad esse collegate a proposito di “Mai Stati Uniti”. Il secondo invece rispecchierebbe le riflessioni a voce alta di molti addetti ai lavori che vedono nel successo di film come quello dei Vanzina l’unica possibilità di finanziare il cinema d’autore destinato per sua natura a pagare il dazio in termini di incassi, e quindi proprio per questo bisognoso di essere sostenuto da quello popolare, di dubbia virtù ma altamente remunerativo. Da qui la necessità degli addetti ai lavori di sostenere il prodotto a scatola chiusa, indipendentemente dal suo effettivo valore. Sarà. Di sicuro c’è che questa nuova fatica dei fratelli Vanzina altro non è che una sorta di cinepanettone annacquato, edulcorato e ripulito degli aspetti più triviali dello storico filone, ma come quello assemblato omogeneizzando in modo caricaturale pregi e difetti, vizi e virtù della stirpe italica con l’intento di dare vita ad una serie di situazioni ad alto tasso di riconoscimento, di cui poter ridere ma allo stesso tempo sentirsi solidali. In questo caso il pretesto per mettere insieme la solita galleria di tipi umani è un viaggio in America che cinque fratelli devono compiere per compiere le ultime volontà di un padre di cui avevano sempre ignorato l’esistenza. A motivarli la ricompensa postuma di un eredità miliardaria da dividersi al termine del viaggio. Un’ impalcatura da film on the road con relativa presa di coscienza – al termine del viaggio la fratellanza per caso diventerà un sentimento reale e condiviso - raggiunta non prima di aver sciorinato l’inevitabile dose di conflittualità – che i Vanzina portano avanti in maniera meccanica, inanellando schetck televisivi che come sempre girano intorno ai piaceri della carne, fintamente rimossi dal linguaggio ripulito adottato dai protagonisti e dalla mancanza di attrici veline, ed invece presenti con la solita dose di doppi sensi funzionali ad innescare una serie di incomprensioni che vorrebbero far ridere. Il risultato è uguale alla faccia di Ricky Memphis, sguardo allibito e quasi catatonico. Sempre meglio della frenesia tarantolata dei colleghi, perennemente sopra le righe, come se il divertimento coincidesse con la forzatura dei gesti e con il tono di voce da brooker di Piazza Affari. Ad Anna Foglietta va il premio per il conflitto di interessi assegnatogli per la contemporanea presenza nell’altro film di Natale firmato Neri Parenti.
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