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Quest'anno scelgo di andare a vedere un film francese, Main dans la main, per il quale la proiezione romana rappresenta l'anteprima mondiale (addirittura!). In sala ci sono la regista Valérie Donzelli (che aveva riscosso un certo successo con il suo precedente film, La guerra è dichiarata, che non ho visto e a questo punto vorrei recuperare), i due attori protagonisti (Jérémie Elkaïm, prima compagno della Donzelli nella vita, ora separato, e Valérie Lemercier) e due produttori.
Il film utilizza il genere della commedia per raccontare una storia surreale.
Joachim (Jérémie Elkaïm, premio per la migliore interpretazione maschile) fa il vetraio, ama andare in skateboard, e vive nella casa della sorella (interpretata dalla stessa Valérie Donzelli) insieme al cognato, alle tre figlie e alla nonna centenaria.
Hélène (Valérie Lemercier) dirige la scuola di danza dell'Opera di Parigi. Vive con Constance, a cui la lega un rapporto di complicità e l'esigenza di superare le rispettive solitudini.
Un giorno Joachim viene mandato all'Opera a sostituire un vetro; lì incontra Hélène e dopo un bacio rubato i due sono legati indissolubilmente da una specie di incantesimo: non solo diventano inseparabili, ma i loro corpi rispondono agli input della volontà dell'uno o dell'altro a seconda di chi di volta in volta si impone.
Questa situazione manda in tilt gli equilibri che ciascuno di loro aveva costruito nella propria vita e mette in discussione tutti i legami precedenti.
La vicenda è comica da molteplici punti di vista; si ride moltissimo per le numerose situazioni imbarazzanti e surreali in cui i due si vengono a trovare. Ma - sotto questa apparenza da commedia - si affronta un tema molto serio e importante: quello del sé nel rapporto a due.
In questa storia ci sono molti rapporti a due: quello tra Joachim e sua sorella (che si dicono indivisibili), quello tra Hélène e Constance (che non riescono a fare nulla separatamente), infine quello tra Joachim ed Hélène, che sono forzati all'indivisibilità. Alla fine, tutti questi rapporti - indipendentemente dalla motivazione che li anima - hanno una caratteristica comune, quella di limitare l'espressione del singolo e la piena realizzazione di sé e della propria volontà.
Con una sceneggiatura molto francese, ossia molto parlata, Valérie Donzelli sembra volerci dire che spesso sono l'insicurezza, la solitudine, la paura a spingerci verso legami simbiotici che da un lato ci stanno stretti, ma dall'altro ci danno sicurezza.
La regista chiude però il film con una grande apertura di speranza, fors'anche un po' forzata e sdolcinata, dimostrando che la solitudine è innaturale, ma la simbiosi non è l'unica risposta. È nella faticosa ricerca di sé, nel riconoscimento della necessità di una realizzazione personale, nella consapevolezza della bellezza del condividere senza essere dipendenti che si apre una speranza di vita a due che possa aspirare a evitare la prigione del bisogno che spesso ci scegliamo.
Protagonisti molto in vena, regia brillante, bella colonna sonora. Fastidiosi soltanto l'intervento di una specie di narratore che commenta e fa da eco ai protagonisti e la virata un po' troppo romanticheggiante dell'ultima parte del film, che forse avrebbe funzionato meglio senza un cambio di tono così repentino ed eccessivo.
Voto: 3,5
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