Oggetto d’analisi e, al contempo, proposta di visione, se lo vogliamo, è “ La salita al Calvario”.
Il calvario per antonomasia, quello di ogni uomo , di ogni tempo e in ogni luogo.
Perché questa è universalità dell’Arte a dispetto del tempo che passa troppo in fretta e/o dei secoli, che si accavallano, polverosi uno dietro l’altro.
Riuscire cioè a saper trascrivere con efficacia l’esistenza di ogni creatura con gli strumenti appropriati, lasciandone tuttavia traccia duratura.
Come lo è per la letteratura. Come lo è per la musica.
E Lech Majewsky , il regista polacco, in “I colori della passione” è artista davvero magistrale non meno di Bruegel il “vecchio” se, con l’ausilio della computer-grafica e della tecnica dei tableaux vivants, è riuscito a coinvolgere, oggi, lo spettatore- osservatore mostrandogli il punto di vista dell’artista sì ma consentendogli anche al tempo stesso d’intravedere, come è proprio della “vera” arte, ciò che sta fuori dai confini del dipinto.
La ricerca della “verità”.
E’ questo,infatti, quanto stava a cuore al maestro fiammingo e al nostro Majewsky oggi.
Quella che poi è stata, è e sarà sempre e soltanto “ricerca”, e per giunta mai paga.
L’umanità rappresentata da Bruegel è schiacciata dai castighi della vita e lo vediamo ( io penso a certi incontri-scontri della vita non risolti). E' sofferente, è fotografata nei suoi tratti d’insana follia con contorni sovente grotteschi, proprio sul filo della tipica ironia dell’artista fiammingo che, tra siparietti e macchiette e personaggi goffi, colloca gli uomini in un contesto circense, chi arrampicato su trampoli o chi impegnato in impacciati balletti.
Ma sono i tratti degli individui, le loro movenze, i gesti, le fattezze a definire le maschere e a consegnarci una realtà trasformata, quasi irreale.
Le scene tenere di vita quotidiana nel film , che pur ci sono,si svolgono di contro in un silenzio eloquente.
Sono le voci della natura e i rumori della vita, infatti, a scandire il dipanarsi della storia filmica così come della nostra storia personale.
E il tutto ai piedi della grande rupe (vedi il dipinto di Bruegel), che separa la luminosità del cielo dalle tenebre, che sovrastano un enorme deserto.
Sul costone di roccia impervio però, intanto, il mugnaio del “grande mulino”, quello che offre farina e pane a chi sa domandarlo, osserva gli eventi.
Qui non c’è esplicitamente Africa o Paesi in via di sviluppo, o Europa e comunque mondo confuso e tribolato d’oggi, com’ è normale che sia, ma ci siamo dentro ugualmente tutti.
E, ad un certo punto, Bruegel e Majewsky finiscono col sovrapporsi fino confondere le due differenti ma sostanzialmente affini identità.
Infatti il “mugnaio celeste” ,ad un tratto, ferma le pale del mulino, consente una pausa, quasi come in un gesto di compassione.
Buona visione.
a cura di Marianna Micheluzzi (Ukundimana)
In basso il dipinto di Bruegel il"vecchio" "La salita al Calvario"