
No signore! Non è come pensate voi. Io 'sta canzone qua non l'ho scritta per quella bellissima donna che era Silvana Pampanini.
Però ve l'ho fatto credere, ehhh? Per tutti questi anni i giornalisti non hanno fatto altro che divulgare questa notizia, e io zitto, a leggere, e mi dicevo: voglio proprio vedere come va a finire! ma, in fondo, a me stava pure bene.
La donna del mistero rimaneva veramente del mistero.
Silvana, la grande Silvana, come era bella! e se ve lo dico io, che sono grande intenditore di donne e grandissimo fruitore specialmente di quelle belle, e perché no, anche bellissime, ci potete credere. Silvana Pampanini era 'nu babà, era - che vi devo dire - 'na serenata sciuè sciué, era 'na cosa grande, nel vero senso della parola. E poi che v'aggi' 'a di'? A me le donne mi piacciono! Le adoro, Tutte. Le racchie (be', insomma!), e le belle bellissime!
A me m'hanno rovinato le femm ine...
"Totò era un vero signore, una persona di una gentilezza incredibile. E parlo non di Totò attore, no, quello lo sappiamo tutti quanto era bravo, era un grande della scena in quegli anni là, e col tempo è diventato un'icona vera e propria della storia del cinema italiano. No, parlo di lui come uomo, e come compagno di lavoro: davvero insuperabile per cortesia e garbo. Lo ricordo al mio fianco (meglio: io ero al suo fianco) nel film "47 morto che parla"; bene dentro quella pellicola c'era un po' di tutto, dalla comicità alla satira, ma c'era soprattutto un grandissimo Totò.
Credo di avere imparato molto, a girare quel film insieme a Totò; sono diventata grande tutto insieme, a stare vicino a lui; io che ero giovanissima, ho avuto i suoi incitamenti, i suoi insegnamenti; ma quello che più contava per me, tutta la sua stima. E la sua ammirazione. Era innamorato di me? Che vi debbo confessare? che sì? e che si è dichiarato? e che la cosa non è andata in porto? Immaginate pure quello che volete, io non ve lo dico di certo. Del resto la verità è molto vicina a quello che i giornali hanno raccontato. Mi voleva sposare? Forse sì, ma io ripeto, ero una ragazzina, e i miei genitori in ogni caso non mi avrebbero (hanno?) dato il consenso. Mi colmava di gentilezze, mi faceva recapitare in camerino mazzetti di fiori, oppure scatole di cioccolatini, ma con una discrezione che poi nel corso della mia lunga carriera non ho riscontrato in nessun altro uomo. Vi confesserò solo questo: lui, sì, mi voleva bene; e anch'io, gliene volevo; e un giorno gli lessi negli occhi il desiderio di me; glielo dissi: ti voglio bene, ma come si vuole bene a un padre.
Capì. Ma continuò a volermi bene in silenzio, a farmi regalini, a starmi vicino... Scrisse quella bella canzone. Era per me? Mistero!"
scurdà...
La canzone è dell'anno 1951. Sia le parole che la musica sono di Totò, che, badate bene, non sapeva scrivere di musica e non la conosceva, non avendola mai studiata. La scrisse in un momento di sconforto (o di meditata allegria? non lo sapremo mai), nella sua lingua, il napoletano, lingua nella quale compose una infinità di poesie molte delle quali d'amore. In napoletano malafemmena sta indicare una donna di malaffare, e per usare il termine più volgare, anche una prostituta. Totò però lo usa in senso diverso, e le da un significato particolare, quello più morbido e più appropriato al suo caso di "donna che fa soffrire", una femmina che fa soffrire le pene d'amore a chi la ama.
Stavo a Formia, per girare un film... (era il mese di aprile del 1951, il film era: Totò terzo uomo, per la regia di Mario Mattoli; anche qui Totò aveva vicino una bomba sexy dell'epoca Franca Marzi la prima supermaggiorata del cinema italiano; e nel cast c'era il meglio della cinematografia di allora: Carlo Campanini, Aroldo Tieri, Mario Castellani che per anni fu la sua spalla nelle gag anche televisive, Alberto Sorrentino, l'eterno morto di fame, lugubre e dal viso affilato come un morto, e una Bice Valori alle prime armi)... e mi vennero spontanee queste prima parole, femmena, tu si' 'na malafemmena... erano belle, dense di significato,. mi piacquero e le scrissi sul retro di un pacchetto si sigarette (un pacchetto di Turmac), ma poi accartocciai l'involucro per gettarlo, e con esso gettai involontariamente anche quel mio principio di canzone. Ma i versi mi giravano sempre in testa; tanto che ci fischiettai sopra una musica, semplice, leggera, Ci stava proprio bene. Quando uscimmo dal set tornando all'albero le feci sentire al mio autista (il signor Salvatore Cafiero) che si schifò, mi disse che "... è 'na lagna, dotto'...".
E tu si' 'nu fesso, e nun capisce proprio niente!. Tie'...
Continuai a fischiettare e a comporre mentalmente.
Una volta tornato a casa a Roma, poi, mi accomodai al pianoforte con un dito solo, seguendo il fischio cercai le note relative, e piano piano nacque la musica. Alla quale aggiunsi le parole che già tenevo, poi le completai con altre, che vennero spontaneamente a galla dal fondo dell'anima mia. Posso dire che nacquero insieme, parole e musica, le une a complemento dell'altra; e viceversa.
Forse sono 'nu poco tristi, 'sti pparole, ma che cci vuo' fa'. io sono un attore comico, ma nella vita sono triste, sono un funerale di I classe.
A lungo si è parlato di chi fosse il soggetto di questa canzone, si è indagato senza riuscire a scoprire chi fosse la donna che ha fatto penare il grande attore comico. E siccome era terminato il film 47 morto che parla, e in quella pellicola Totò aveva lavorato con una ragazza di una bellezza indescrivibile, si pensò che la malafemmena delle parole della canzone, fosse proprio lei, la Silvana Pampanini.
Si è scritto che Totò le avesse chiesto di sposarlo, ma che lei - ancora troppo giovane per il grande passo della sua vita - avesse - forse a malincuore - respinto la proposta.
Del resto Silvana allora aveva solo 25 anni e Totò - essendo nato alla fine del secolo, nel 1898 - ne aveva già 52, più del doppio quindi, e così anche se fosse vera la storia della sua dichiarata passione d'amore e della sua richiesta di matrimonio, va da sé che la domanda del comico aveva in sé già la risposta; non poteva essere che un "no".
Si vocifera anche che i genitori dell'attrice erano contrari a questa unione, pure se niente avevano contro quel gran signore che era un principe: Antonio Focas Flavio Angelo Ducas Comneno De Curtis di Bisanzio Gagliardi, e come usava presentarsi più brevemente: principe Antonio De Curtis.
La canzone divenne anche un film, che Totò girò insieme a un altro grande del cinema di allora, quel Peppino De Filippo, uno dei fratelli della celebre famiglia di attori napoletani che nessuno potrà mai dimenticare: Peppino, appunto, Eduardo, e Titina. Il film era intitolato Toto, Peppino e la malafemmina, dove la donna cattiva era interpretata dall'attrice Dorian Gray, per la regia di un altro grande regista di quegli anni Camillo Mastrocinque.
Vale la pena di riportare brevemente la trama.
Due fratelli campagnoli, i fratelli Capone Antonio e Peppino, possidenti di terre nel napoletano: uno è donnaiolo e dalle mani bucate (e non poteva essere che Antonio/Totò) l'altro al contrario (Peppino) è avaro e sempliciotto (e per questo Antonio lo sottomette ai suoi voleri facendo valere ai suoi occhi la cultura che in effetti non ha). Hanno un nipote che studia per diventare medico, a Napoli, ma che, invaghitosi di una ballerina di avanspettacolo, la segue e a Milano. La giovane attrice (che poi è la malafemmena) circuisce il giovane studente e gli fa perdere la testa; e, una volta a Milano, informa sua madre, la signora Lucia, sorella dei due Capone, che il figlio è fuggito con lei a Milano.
I tre fratelli, temendo uno scandalo che possa rovinare la reputazione della famiglia e, soprattutto, che il ragazzo non seguiti più a studiare per colpa di quella malafemmena, decidono di andare nella capitale lombarda per cercare di convincere la ragazza a lasciare che il nipote torni alla sua vita; e lo stesso a ritornare a casa. E cercano di fare avere alla giovane soubrette anche dei soldi (di Peppino, chiaramente, che versa in cuore lacrime amare per quella somma che avrebbe dovuto abbandonarlo) perché lasci il nipote al suo destino.
Insomma, dopo molte vicissitudini, alla fine prevarrà l'amore tra i due innamorati; e anche i tre fratelli si convinceranno che sì, va bene così.
Vale la pena di riportare il testo della lettera che Antonio detta a Peppino, lettera da inviare alla "cattiva signorina" che sta facendo deviare dalla retta via il nipote Gianni.
" Signorina, veniamo noi con questa mia addirvi una parola che scusate se sono poche ma sette cento mila lire; noi ci fanno specie che questanno c'è stato una grande morìa delle vacche come voi ben sapete: questa moneta servono con l'insalata a che voi vi consolate dai dispiacere che avreta perché dovete lasciare nostro nipote che gli zii che siamo noi medesimo di persona vi mandano questo [la scatola con i soldi] perché il giovanotto è studente che studia che si deve prendere una laura che deve tenere la testa al solito posto cioè sul collo; Salutandovi indistintamente i fratelli Caponi (che siamo noi i Fratelli Caponi)"
La gente venne a sapere chi si celava dietro il mistero della donna che fece perdere la testa al principe, solo molto dopo la sua morte, avvenuta a Roma nell'anno 1967. E fu proprio la figlia, Liliana De Curtis a svelare il mistero.
" E' risaputo che Totò era un grande conquistatore di cuori femminili, fu - come dicono a Napoli - 'nu grande sciupafemmene. Ma amò profondamente solo una donna, che poi divenne sua moglie, mia madre Diana (Dina Bandini Luchesini Rogliani), che gli dette una sola figlia, me appunto.
Era destino che mio padre si innamorasse solo di donne che avevano la metà della sua età, iaggiante.
Iniziarono quasi subito a litigare, sempre per le scappatelle di Totò, ma più per la sua gelosia. Il matrimonio durò poco, appena cinque anni, perché nel 1940 decisero consensualmente di separarsi definitivamente. Pure se voleva un bene da morire a mia madre, ne era gelosissimo; pensate che fu a causa di questa sua gelosia, e per paura di essa, che volle divorziare dalla moglie, - si era nell'anno 1940 - e lo fece all'estero, in Bulgaria, (dove stava girando l'ennesimo film) con una clausola ben precisa, che anche lei accettò di buon grado: la convivenza doveva continuare, almeno altri dieci anni, cioè fino a che io non avessi raggiunto la maggiore età, per evitare che soffrissi troppo il loro distacco. Andarono avanti come meglio poterono ma mia madre soffriva troppo; e ci piangeva, a sentire le voci e a leggere ciò che i giornali riportavano intorno alle mille donne che Totò amava e cercava e circuiva.
otò a lei.
E' per lei, dunque, che scrisse questa stupenda canzone.
Si avisse fatto a n'ato
chello ch'e fatto a mme
st'ommo t'avesse acciso,
tu vuò sapé pecché?
Pecché 'ncopp'a sta terra
femmene comme a te
non ce hanna sta pé n'ommo
onesto comme a me!...
'nfamità.
iù campà.
Femmena
Si ddoce comme 'o zucchero
però sta faccia d'angelo
te serve pe 'ngannà...
Te voglio ancora bene
Ma tu nun saie pecchè
pecchè l'unico ammore
si stata tu pe me...
E tu pe nu capriccio
tutto 'e distrutto,ojnè,
Ma Dio nun t'o perdone
chello ch'e fatto a mme!...
Le confessò quello che forse non ebbe mai il coraggio di dire a parole, che era la donna più bella del mondo, che l'amava perdutamente, ma che l'odiava per tutto quello che le aveva fatto (l'abbandono - va detto - gettò Totò in un estremo sconforto), e che adesso non poteva scordarla...
te pozzo scurdà...
marcello de santis
