“… C’è una topolina che scopa le scale di casa (…).
A un certo punto, mentre scopa, trova un soldo. (…) Che fortuna ho avuto!, dice la topina. Cosa ci potrei fare? Se mi compro una caramella mi si rovinano i denti, e se mi compro…
e se mi compro… Fa ipotesi e le scarta. Infine trova: ecco, un nastro. Mi comprerò (…) un nastro rosa su cui l’amor si posa. (…) La topolina si lega il fiocco rosa sulla coda e immediatamente, come per una legge di natura, (…) arrivano i pretendenti. Non l’avevano notata finora, la vedono grazie al fiocco. (…)
C’è la fila in fondo alla scala. Arrivano un cane, un asino, un gallo. Tutti le dicono: topolina, sei deliziosa, ti vuoi sposare con me? Allora lei fa loro un test perché è furba, sempre furba.
Chiede a ciascuno: dimmi cosa farai di notte. (…) Chiede anche: fammi sentire la tua voce che ti voglio conoscere meglio. Il cane abbaia, l’asino raglia, il gallo fa chicchirichì. (…)
Da ultimo arriva il gatto. Mellifluo, vellutato, seduttore. Bello. Un gatto, comunque, e lei è un topo. Lui fa miao. La topolina cade in estasi: sei tu, eccoti, sei tu il mio amore. Ti sposo.
Annuncia le nozze. Gli amici topi le dicono: sei pazza, è un gatto, ti mangerà. Lei risponde loro a malapena, con indulgente sufficienza: questo gatto mi ama, mangia gli altri topi ma non mangerà me, fidatevi. Sarò la prima topolina a domare un gatto, aspettate e vedrete: con me diventerà un altro, ne farò un gatto che mangia verdura. Si sposano. Un minuto dopo le nozze il gatto le si avvicina, voi direste per baciarla. E invece… La mangia, naturalmente. (…) resta solo il fiocco rosa…”[“La rateta que escombrava l’escaleta”, racconto popolare catalano (tratto da “Malamore”, pagg. 16-17)]
Una delle prime cose che Concita De Gregorio ci dice, nell’introduzione, è che “Malamore”, contrariamente a quanto molti pensano, non è un libro sulla “violenza domestica”, bensì una raccolta di storie che gira attorno a un altro argomento, speculare alla violenza domestica: il motivo per cui, in un’epoca di donne intelligenti ed emancipate, donne che, dice l’autrice, “potrebbero aspirare a fare l’astronauta e non la moglie, che non dovrebbero aver bisogno dei soldi e della tutela di nessuno”, queste stesse donne sono disposte a sopportare senza ribellarsi la violenza maschile.
La De Gregorio sostiene che le donne, fin da bambine, sono allevate a sopportare, ad avere una certa confidenza col dolore che gli uomini non hanno.
Sono abituate a giustificare il comportamento dei loro uomini violenti perché si sentono in dovere di aiutarli, di scusarli. Accettano di essere valvole di sfogo della frustrazione maschile, giustificando addirittura ogni maltrattamento, credendolo una sorta di “prezzo da pagare” per la propria libertà fuori dalle mura domestiche.
Le donne massacrate, ci dice l’autrice, hanno quasi sempre la “colpa” di aver negato qualcosa a un uomo: non hanno voluto rimanere con lui, non hanno voluto abortire, non hanno voluto andarsene da casa. Si tratta quindi di rivalsa o vendetta, una sorta di revival di un delitto d’onore che è stato sì cancellato dal nostro legislatore, ma che nella prassi continua a vivere e ad essere, il più delle volte, giustificato dal senso comune.
La donna moderna ritratta in Malamore è quella che lavora tutto il giorno e al contempo riesce ad essere madre, moglie e donna delle pulizie, in un meccanismo così radicato nella nostra cultura da essere per quasi tutti normale. La donna moderna, dice l’autrice, è quella che si rassegna al fatto che se sia lei che il marito hanno un’importante riunione di lavoro, sarà lei a doverla disdire per accompagnare il figlio dal dentista, non il consorte.
E il brutto è che la cosa non provoca dissenso né stupore: lei è la moglie, la madre, è normale che si occupi dei figli. Il marito non può certo perdere un’ora di lavoro. E’ l’uomo di casa che deve pensare alla carriera, la donna può anche metterla in secondo piano.
Prima viene la famiglia. Per lei.
Concita De Gregorio non ci pone però di fronte a storie ordinarie. Ci racconta fiabe, film, fumetti e storie di donne famose. C’è la fiaba di Barbablù, quella della Rateta (riportata nella citazione iniziale), la storia della maga Circe. Si parla de “La sposa cadavere” di Tim Burton, di Eva Kant (la coraggiosa fidanzata di Diabolik), di Artemisia Gentileschi e di Dora Maar.
Il suo stile è semplice, chiaro, privo di frivolezze e straordinariamente diretto.
E’ un libro, in fin dei conti, breve e facile da leggere. Poco tecnico, nonostante l’argomento trattato. Eppure il contenuto è così denso di significato e, purtroppo, così vero, che capita spesso di soffermarsi a pensare. A riflettere su come sia possibile accettare ancora oggi, nonostante tutto, di credere che le donne abbiano il dovere di sopportare.
E’ una concezione, quella di Concita De Gregorio, che si può condividere o meno. Spesso è quasi provocatoria in quel suo dipingere la cruda realtà in cui vive ogni donna, di qualsiasi età, professione e ceto. Così provocatoria che può urtare un po’. Ma aiuta a riflettere e a guardare con occhi diversi le nostre mamme, le nostre sorelle, le nostre amiche.
E anche noi stesse.
“Il malamore è gramigna, cresce nei vasi dei nostri balconi. Sradicarlo costa più che tenerselo. Dargli acqua ogni giono, alzare l’asticella della resistenza al dolore è una folle tentazione che può costare la vita.”