La malattia è il lato notturno della vita, una cittadinanza più onerosa. Tutti quelli che nascono hanno una doppia cittadinanza, nel regno dello star bene e in quello dello star male. Preferiamo tutti servirci soltanto del passaporto buono, ma prima o poi ognuno viene costretto, almeno per un certo periodo, a riconoscersi cittadino di quell’altro paese.
Susan Sontag
La malattia è, nelle ormai classiche parole della Sontag, il “lato notturno della vita”: il margine è l’immaginario che la società costruisce intorno alla malattia e alle ombre di un ravvicinato non-essere. Sul cancro, in passato sulla Tbc e ora sull’Aids, si rivela un’esuberante produzione di metafore cariche di tenaci pregiudizi e dai fantasmi di antiche paure. E’ il linguaggio metaforico che si incarica di veicolare, in forme sempre mutevoli, la nozione invariata di malattia come colpa: “scandalo” che investe i comportamenti e le tipologie psicologiche dei singoli e dei gruppi.Attraverso una fitta rete di riferimenti letterari (da Lucrezio a John Donne, da Debussy a Thomas Mann), la Sontag illustra il repertorio delle più fertili mitologie elaborate nel tempo intorno alle malattie maggiormente temute: dalle metafore militari per il cancro, occulto e implacabile invasore interno, agli spettri della peste rievocati con l’Aids, il flagello vendicatore che punisce le colpe ed estingue solo con la morte i peccati.