Sì, soliti lettori, avete letto bene: Malmsteen. Yngwie J. Malmsteen.
E non tremate, via: non dovete aver paura.
L’Adagio d’Albinoni mica uccide.
Intervistai il Malmsteen nel lontano settembre 2002, quando l’axeman partorì l’album Attack!
Va da sé che, quando mi comunicarono data e ora dell’appuntamento telefonico coll’Yngwie, le gambe cedettero.
Lui, barocco gioiello dai mille abbellimenti.
Lui, virtuosissimo nonché inarrivabile shredder.
Lui, sogno proibito d’ogni chitarrista. Sogno proibito pure di Fratello (va detto che fu proprio quest’ultimo, in tempi non sospetti, a far conoscere il Malmsteen a Scribacchina, ammorbandone gl’anni giovanili coll’opera omnia: da Rising Force a Fire and Ice e via seguendo).
E venne il giorno fatidico.
Il telefono squillò.
La voce dell’Yngwie tuonò.
La tremarella aumentò.
Poi, nel corso della chiacchierata, gli chiesi qualcosa; non ricordo con esattezza la domanda, ma poteva pur essere una delle seguenti, a vostra scelta:
– Buon Yngwie, perché hai chiamato Antonio il di te figlio? (domanda fintamente ingenua…)
– Hai degli splendidi capelli, Maestro: se non è merito dello shampoo o del balsamo, a cosa dobbiamo cotanto ricciolo?
- M’han detto (voci di corridojo) che disdegni d’andar dall’estetista per adeguata manicure (ti dirò, en passant: colle pregiate mani che ti ritrovi, una seduta non sarebbe cattiva idea). Perché?
A domanda, egli rispose con una sonora, profonda, minacciosa risata.
Aggiungendo le seguenti testuali parole, scandite con timbro d’oltretomba: «Because I’m a viking».
Parole che in italico idioma suonan più o meno così: «Perché sono un vichingo».
La risposta mi spiazzò.
Contemporaneamente, sparì ogni tipo di paura, ogni timore reverenziale.
Malmsteen il guitar hero?
No. Malmsteen il vichingo.
Da allora, i vari album di Malmsteen furon ripudiati.
Perduto per sempre ogni fascino.
L’Yngwie lo risentii soltanto pel tramite d’un paio d’amici chitarristi, componenti d’altrettante cover band votate al guitar hero svedese.
***
Settembre 2002
Signore e signori, questo settimana abbiamo un ospite molto, molto speciale. Alcuni lo chiamano il Paganini della sei corde, altri lo definiscono il Bach del metal. E nonostante ci sia qualche contestatore che lo considera troppo tecnico, lui resta di diritto sul trono che, negli anni, ho accolto i migliori chitarristi.
Come avrete già capito, sto parlando di Yngwie J. Malmsteen, guitar hero che ho intervistato in occasione dell’uscita (lo scorso 16 settembre) del suo nuovo album Attack!
Disponibile, divertente, a tratti pensieroso e introspettivo, Yngwie alterna la parlata americana ad un italiano abbozzato; e risponde senza esitazioni alle domande sul nuovo lavoro di studio, nel quale i suoi voli pindarici tra scale e arpeggi sono sostenuti da tre pezzi grossi dell’hard rock: Dougie White (ex Rainbow) alla voce, Derek Sherinian (ex Dream Theater) alle tastiere e Patrick Johansson alla batteria.
‑ Yngwie, la traccia numero 3 di Attack!, Valley Of Kings, mi fa venire in mente un altro tuo brano dedicato all’Egitto: Pyramids Of Cheops. Da dove nasce questa inclinazione per l’Egitto? Ci sei mai stato?
“No, non sono mai stato in Egitto, e non credo che ci andrò: non perché non mi piaccia il paese, tutt’altro. Il fatto è che sono sicuro che l’Egitto di oggi sia completamente diverso da quello che ho imparato a conoscere ed amare attraverso i libri e la storia. Sarebbe una grande delusione trovarsi di fronte al crollo di un mito”.
‑ Ci sono dei gran bei pezzi strumentali in Attack!, pezzi che bilanciano perfettamente quelli cantati. In gioco ci sono due grandi voci: quella umana di Dougie White e quella della tua chitarra. Parlami delle loro differenze.
“La voce umana può comunicare in due modi: con la melodia e con le parole. La voce della chitarra, invece, può comunicare soltanto con la melodia e l’interpretazione che l’accompagna. C’è da dire, però, che la chitarra parla una lingua internazionale, che tutti possono comprendere: è la lingua del cuore, dei sentimenti. I brani strumentali, in questo senso, parlano direttamente all’anima di chi li ascolta, mentre quelli cantati non fanno altro che raccontare le cose così come stanno, semplicemente… La voce della chitarra è una voce libera; perlomeno, più libera rispetto a quella dell’uomo”.
‑ In Freedom (il brano numero 10 di Attack!), oltre a suonare la chitarra, canti. La tua voce in questo brano è molto rozza, bluesy; esattamente l’opposto del suono chiaro e ben definito della tua chitarra. Curioso.
“La differenza tra la mia voce e il suono della mia chitarra sta nel fatto che, quando suono, è come se avessi tra le mani un violino, mentre quando canto esprimo il vichingo che c’è in me. Chiaramente, questi due approcci danno luogo ad altrettanti stili e caratteristiche sonore. E a dispetto del titolo, Freedom (in italiano: libertà), in realtà questo è il brano meno libero di tutto l’album: esprimersi con la voce limita parecchio, come ho già detto”.
‑ La tua passione estrema per la musica classica non è un mistero: quali sono i tuoi compositori preferiti?
“Senza dubbio, Antonio Vivaldi e Johann Sebastian Bach; evito volentieri Stravinsky e le musiche poco strutturate… adoro il barocco, incondizionatamente”.
‑ Negli anni Settanta ascoltavi i Deep Purple, band nella quale militava Ritchie Blackmore. Hai sentito la sua ultima evoluzione, il progetto Blackmore’s Night?
“Dell’ultimo Blackmore ho sentito qualcosa, molto poco per la verità, ma sono convinto che sia ok: la musica rinascimentale è il suo mondo, il suo modo di sentirsi realizzato. Lo apprezzo e faccio il tifo per lui”.
‑ Cambiamo argomento, parliamo d’altro: di cuore. Cosa ne pensi dell’amore eterno? Credi che possa esistere?
“No, non lo credo. Perlomeno, non nel rapporto che c’è tra uomo e donna. Per esempio, l’amore che nutro per la musica e per la mia chitarra può essere eterno; quello che nutro per il mio gatto, per il mio cane può essere anch’esso senza fine. Ma tra l’uomo e la donna, due esseri con cervelli pensanti e modi di ragionare diversi, non può esserci amore eterno. Può esserci l’illusione dell’amore eterno, ma prima o poi ci si accorge della vera natura dei sentimenti. E non parlo per sentito dire: l’ho provato di persona”.
‑ Qual è la cosa o la persona più importante della tua vita?
“Non ci sono cose o persone più importanti nella mia vita: è tutto importante, tutto contribuisce a far diventare importante la vita. Per me suonare sta sullo stesso piano del dormire, del mangiare, del viaggiare, del divertirmi… allo stesso modo, mia moglie April sta sullo stesso piano di mio figlio Antonio… è tutto importante, e dovrebbe essere sempre così”.
‑ L’11 settembre, proprio pochi giorni fa, si è celebrato in tutto il mondo il primo anniversario dell’attentato alle Torri Gemelle. So che quel giorno, l’anno scorso, ti trovavi negli Stati Uniti…
“Già, proprio così. Quel giorno, nel pomeriggio, sarei dovuto partire per una tournée in Messico; ovviamente, non partii… Ricordo che mi svegliai, accesi la televisione e vidi quello che era successo: una cosa orribile… ero impietrito. Ancora oggi sono scioccato; scioccato e arrabbiato. Non sono ottimista per il futuro, assolutamente. Ci sono persone fanatiche che agiscono – a loro detta – in nome di Dio; no, non sono d’accordo con questo: Dio è qui, ma è spirito; non può essere chiamato con nomi, non può essere materializzato, non gli si possono dare sembianze né attribuire volontà… non si può fare qualcosa per lui e far diventare quest’atto uno spettacolo televisivo, un terribile spettacolo di morte.
E’ stato orribile. Sono momenti che non potrò mai dimenticare”.