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Malos Mannaia: Illusionismi di stato (di bisogno)

Creato il 20 gennaio 2014 da Viadellebelledonne

Odilon_Redon

Giovanni suda copiosamente e un po’ gli trema anche la voce mentre porge al rigattiere il numerino elimina-code.

– Buongiorno. Sono qui per mio figlio, Giacomino.

Il rigattiere allo sportello studia sia l’uomo che il ragazzo con fare professionale. Sono due classici esemplari di ceto medio: vestiti in modo dignitoso, ma con la camicia lisa sul colletto e sui polsini. Lo sguardo del padre è vuoto quanto la dispensa in tempi di crisi e l’angolo degli occhi tende al rosso conto in banca: probabile che abbia pianto in silenzio poco prima di accompagnare il figlio al monte dei pegni. Giacomino avrà circa tredici anni e il padre sa che tra qualche mese non potrà più trascinarlo in giro a proprio piacimento: cominceranno i tatuaggi, i piercing, i vaffanculo, la vita parallela su Facebook e gli amplessi con l’interfaccia dell’emulatore xxx-box.

– Buongiorno pure a voi. Come posso esservi utile?

Giacomino si guarda attorno, un po’ a disagio, faticando a mettere a fuoco le entità impalpabili accatastate in ogni angolo del negozio. Giovanni schiarisce la voce e risponde, superando a stento la vergogna.

– Come le dicevo, vorrei qualcosa per mio figlio – poi sottovoce, aggiunge – …non cose impossibili, che poi magari si deprime se non vengono… cose normali, voi capite, alla portata di…

Il rigattiere ha già calcolato quanto è in grado di spendere il cliente, quindi taglia corto.

– Ok, ok… C’è la coda, non vede? Siamo un centro autorizzato di grande esperienza, con più di un decennio di recessione alla spalle. Rispettiamo le normative UEI-EN 2377788, UEI-EN 2377791 e UEI-EN 2378008, con regolare abilitazione specifica rilasciata dal governo centrale di Bruxelles. Quindi abbia fiducia: sapremo consigliarla bene.

Il commesso sfoggia un rassicurante sorriso da tritacarne in acciaio inox e si rivolge a Giacomino col tono d’un sergente americano che accoglie la recluta di turno.

– Tu cosa hai pensato, ragazzo?

– Io… io volevo fare… ho sempre sognato di fare il dottore, sì…

La risata rauca del rigattiere riecheggia nell’androne del negozio. Giovanni assesta uno scappellotto al figlio e s’affretta a precisare.

– Sta scherzando, non gli dia ascolto…

– Capisco, eh… vieni con me Giacomino – si fa strada verso un angolo del locale – ecco, qui troverai un paio di cose che andranno benissimo. Guarda e decidi in base ai tuoi gusti.

In un improvviso flash-back, il ragazzo si ritrova bambino alla fiera, seduto sul bancone della pesca dei cigni con la canna di bambù tra le mani: il gesto del rigattiere è lo stesso dell’uomo del luna park, quando alla fine della conta dei punti, mostra i premi tra cui scegliere in base al punteggio raggiunto. Mai che sia il peluche gigante di Yoghi o la pistola Beretta quasi vera o il Nintendo in bella mostra sugli scaffali… per quelli servono diecimila milioni di punti. “Come si fa a fare diecimila milioni di punti, papà?” – aveva chiesto appena raggiunta una minima competenza aritmetica. “Beh, devi pescare i cigni col punteggio più alto” – aveva mentito Giovanni.

Stavolta non c’è neanche l’illusione di pescare l’immaginifico cigno da diecimila milioni di punti, pensa Giacomino, e in un amaro deja-vu, rivive la delusione del premio di plastichetta made in China che spesso e sovente si danneggia già nell’atto di estrarlo dalla confezione.

– Allora?

– Non so, signore. Non mi piacciono tanto questi sogni.

Il rigattiere replica con garbo suadente da piazzista.

– Possibile??? I sogni sono tutti belli: se stanno qui qualcuno li ha cullati sperando che si avverassero…  immagina quanto avrà sofferto dovendosene separare! Tu sei un ragazzo fortunato, Giacomino: tuo padre può ancora permettersi di comprarti un sogno di seconda mano, invece la maggior parte delle persone che vedi in coda è costretta ad impegnare, vendere o barattare i propri sogni con un piatto di pasta al pomodoro.

Pausa a effetto. Il negoziante tace lasciando che il profumo della salsa al basilico condisca i neuroni troppo al dente del ragazzo. Non appena il senso di intimità generato dall’immagine di un desco familiare imbandito fa abbassare la guardia a Giacomino, il rigattiere sbotta con tono solenne nonché velato di biasimo.

– Quelli che tu stai disprezzando, sono i sogni di persone più sfortunate di te! Tienilo bene a mente, Giacomino.

Il ragazzo vacilla, incapace di replicare. Il rigattiere spolvera e arpeggia i sogni appesi alle pareti, facendoli risplendere di nuova luce mentre stringe il cerchio.

– Allora, Giacomino… che ne dici del sogno di diventare facchino in un grande magazzino? Altrimenti c’è Andrea che sognava di vincere un posto come operatore ecologico comunale. Oppure vuoi qualcosa di più originale, tipo Luca che voleva diventare addetto al controllo qualità e degustazione di cibi per cani? Non sai deciderti? Preferisci un sogno generico tipo, avere un lavoro? Ho capito, forse vuoi qualcosa di più vintage, tipo minatore di carbone o schiavo per la raccolta dei pomodori.

Specchiandosi nella sofferenza del figlio, Giovanni interviene.

– Non avrebbe qualcosa di meno limitativo, tipo un generico sogno di una vita migliore?

– Mi spiace, ma la direttiva EU 21-677/11 vieta di venderlo singolarmente. Però, se volete, c’è lo sconto promozione su migrante a bordo di una carretta del mare col sogno di una vita migliore.

Giacomino rabbrividisce e china il capo.

– Il p-primo che mi ha mostrato… facchino va bene, magari potrò pure manovrare un carrello elevatore!

– Bravo Giacomino! – poi rivolto al padre – fanno trecentosettanta euro alla cassa. Se ha bisogno di rateizzare lo faccia presente alla commessa prima che emetta lo scontrino.

Il rigattiere stacca il sogno dal gancio e lo annoda ai pensieri del ragazzo. Un’impercettibile scossa elettrica e Giacomino ha un sogno di seconda mano che nelle speranze del padre lo aiuterà a costruirsi una vita degna d’essere (soprav)vissuta.

Per strada c’è poca gente: è una rigida notte di fine novembre e dopo il tramonto le strade metropolitane sanno essere pericolose. C’è un gruppo di ragazzi sui vent’anni che s’aggira vociante nei pressi del luna park buio e deserto.

– Cazzo, eh, facciamoci un giro!!

– Mò fica!

– Sul tagadà! Bella!

– Bella!

S’avviano di corsa verso l’obiettivo scortati, tra un grido e l’altro, dal crepitare del breccino sotto gli scarponi. Il primo che arriva, spacca con un calcio il cancelletto di lamiera e in un attimo, facendo gioco di squadra, rimuovono il telone verde plastificato che protegge la pista circolare della giostra.

– Vai salta!

- Tum! Tum! Tum!

– Andiamo a ritmo!

– Eh! Eh!

– Cazzo spingi??!

Nella penombra irreale del luna park chiuso, ad ogni salto il pianale metallico del tagadà tuona e rimbomba. Il branco si dimena per alcuni minuti, poi torna verso cancelletto dove i più intraprendenti schiodano alcune sbarre di metallo.

– Spacchiamo i vetri!

– Vai!

– Bella!

In pochi attimi, tutti e quattro i vetri del gabbiotto dei biglietti vanno in frantumi. Ululando e sghignazzando, il gruppo attraversa il luna park tornando verso l’uscita. Uno dei ragazzi s’allontana dal branco.

– Jack? …cazzo vai?

Senza rispondere, Jack ammicca alla saracinesca abbassata della giostra alla sua destra. Salta sul predellino metallico e inizia a picchiare contro la protezione in ferro. Dopo un breve attimo di esitazione, il resto del branco accorre a dargli man forte. Colpi di sbarra, calci, pugni: la saracinesca s’accascia riversa al suolo chiedendo pietà e i ragazzi balzano all’interno per l’inevitabile saccheggio. Infine, apparentemente soddisfatto, il branco ripiega verso l’uscita. Jack s’è portato via un peluche formato gigante dell’orso Yoghi. Per qualche centinaio di metri, lo stringe quasi con affetto e immagina di poter tornare bambino. Poi, d’un tratto, si sveglia dal sogno e solleva al cielo il pupazzo.

– Facciamolo a pezzi!

– Bella!

– Mò fica!

Impalano l’orso su un’asta della recinzione del luna park e lo tempestano di colpi di spranga, tanto che la testa del peluche salta via finendo a rotolare nella polvere. Jack prende la rincorsa e ci salta sopra a piè pari, più e più volte, finché la testa spiaccicata del pupazzo non vomita ogni residuo sogno di gommapiuma.



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