Ci penso spesso. Mi torna in mente tutta la scena.
Io che cerco di vestire Princi per portarla a scuola. Sono in ritardo e lei come al solito non ne vuole sapere. Tra “Vojo stae tutto i gionno cottè” e “Vojo ballae cottè” io mi innervosisco ancora di più, la rimprovero, la minaccio, alzo la voce. Quando riesco a fermarla, mentre le infilo il grembiule lei è visibilmente scocciata e inizia a “picchiare” la sedia.
Ping. Suona un campanello nella mia testa...
“Amore perché picchi la sedia?”
Nessuna risposta. Ma continua a menare colpi nell’aria.
“Amore sei arrabbiata?”
Musetto che annuisce...
“E con chi sei arrabbiata?”
“Commmammmaaaaaa” scoppia a piangere e ci abbracciamo.
Non so perché ho sempre in mente questo episodio. O forse si. Ci penso spesso perché mi interrogo spesso su quanto i rimproveri che talvolta le faccio siano motivati e sensati (come dovrebbero) e non dettati dalle contingenze che mi fanno saltare i nervi.
E ci penso spesso perché sono consapevole di quanto io, per prima, abbia dei serissimi problemi a gestire la mia di rabbia. Io che la trattengo sempre. Io che piuttosto mi chiudo a riccio. Io che se provo anche solo a tirarne fuori un po’ scoppio subito a piangere, nella totale incapacità di gestire questa emozione per me così travolgente.
Non so arrabbiarmi, lo so.
Non so farlo in maniera sociale, perlomeno.
E vorrei che Princi fosse diversa.
Vorrei che sapesse riconoscere la sua rabbia, senza scambiarla con altre emozioni.
Vorrei che sapesse esprimerla, scaricarla senza per questo vivere emozioni e sensazioni devastanti.
Perché la rabbia è un po’ così: si autoalimenta se riconosce altra rabbia, ma si smonta immediatamente se viene smascherata. Come è successo a noi quella mattina: appena un secondo dopo averlo detto, ammesso, abbiamo stemperato le reciproche rabbie in un abbraccio e una chiacchierata.
Certo, mi piacerebbe avere un manuale. Qualcosa tipo “Dieci semplici mosse per insegnare a tua figlia a gestire la rabbia, riconoscerla, scaricarla, affermarla assertivamente e non devastatamente”… devo provare a cercarlo su IBS, ma mi sa che non esiste niente del genere sul mercato.
Spero di riuscire a farmi guidare dal buon senso.
Ma una cosa ho capito: qualunque cosa voglia trasmettere a lei, è da me che devo partire. È innanzitutto su me che devo lavorare. Non riuscirò a trasmetterle nulla che prima non abbia sperimentato. Non riuscirò ad insegnarle nulla di cui non riesca ad essere esempio.
E forse un giorno, sarò orgogliosa di lei nel vederla arrabbiarsi in maniera sana, magari anche con me, senza tenersi tutto dentro, senza ingoiare e piangere da sola per la rabbia, allo stesso modo in cui ora mi commuove ogni volta che la sento prendersi cura delle sue bambole. Nessuno le ha insegnato a farlo, mi dico, qualcuno lo ha fatto con lei e lei l’ha imparato.
Spero solo, quel giorno, di non essere così arrabbiata da non accorgermi di quello che sta succedendo.
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