Quando ho letto Cecità quest’inverno, immaginavo il paesaggio come ho visto via Duomo oggi. No, non metto foto, le avrete già sicuramente osservato la situazione al tg1 (che ho visto a pranzo in un posto, buono, nei quartieri – sì quei quartieri spagnoli che sono stati teatro della “rivolta” due notti fa) e il tg1 ci andava giù pesante e d’altronde con un’occasione così ghiotta sul tavolo dell’accanimento e della recriminazione contro Napoli e il suo nuovo sindaco, che fai, non fai vedere il peggio del peggio? Ce la vedo la giornalista che dice al suo cameraman, mentre lei resta lontano però, “Dai cammina di più in mezzo alla cosa, alla monnezza, abbassa la telecamera e fai vedere che schifo che c’è, poi finiamo e ti porto in un posto buono a Marechiaro”.
Non metto foto, dicevo, né prese in giro né mie, perché non ho un telefonino così tecnologico e pure se l’avessi avuto oggi ho preferito, sapete com’è, allontanarmi quanto prima dalla zona San Biagio, Forcella, via Duomo, perché il conato di vomito era più forte della voglia di fermarsi a vedere il morto a terra in autostrada.
Napoli è una città difficile da vivere e da gestire, è una città grande con un flusso quotidiano ben più grande di quelle città che si vantano di non aver mai avuto un sacchetto a terra. De Magistris, però, che ha imparato dal migliore in questo caso, ha commesso il grave errore di vestirsi da eroe e di promettere cose che sa benissimo sono complicate da realizzare. E non sto parlando di piani per gestire l’immondizia ma della questione ben più grave e difficoltosa di cambiare una cultura da secoli radicata e un popolo poroso come il tufo della sua fondamenta (e non lo dicevo io, ma Benjamin ben prima di me). Detto questo, i napoletani sono uno dei popoli più emotivi che conosca: non hanno ancora smaltito la sbornia della vittoria del neosindaco che già vorrebbero vederlo morto perché unica causa di questo ultimo sfacelo. Un po’ come quando Lavezzi fa tre goal e la domenica dopo neanche uno e diventa automaticamente un problema.
Detto questo, prendere nella notte l’immondizia che, sì è vero hai sotto la finestra o davanti alla porta del basso che il più delle volte abiti in maniera abusiva, l’immondizia della quale non ti sei mai preoccupato e che hai sempre gettato insieme a passeggini, scarti, frigoriferi, poltrone, letti, plastica e non oso immaginare cos’altro e portarla al centro di via Toledo, gridando e cantando come se fosse una festa, cercando la videocamera di turno per farti inquadrare e nel mentre, rompere quello che ti capita a tiro, non ha molto senso.
Aspettare sempre la notte per rovesciare i bidoni a corso Umberto e a via Duomo, e già che ci sei lasciarci una macchina senza targa e gridare “De Magistris arò staj?” (dove sei?) non ha molto senso.
Così come lamentarsi della spazzatura sotto casa perché “Siamo genitori e così i nostri figli prendono il colera” e permettere ai bambini di cui sopra di giocare a pallone durante il giorno in quella spazzatura o di fare pipì davanti ad un portone cose se fossi sulla strada più lunga del mondo con il prossimo autogrill dopo 500 km, quando invece sei sempre a via Duomo che è piena di bar.
Inizia a fare paura, è vero, e fa molto schifo camminare e respirare quello che hai buttato la sera prima, che intanto sotto al sole di questi giorni ha assunto forme che in natura non esistono ma quello che oggi mi ha fatto più tristezza era vedere due categorie speculari di persone: chi si fermava a fare le foto, turisti e indigeni e chi gridava “L’abbiamo portata noi la monnezza qua, di qui non puoi passare”.
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