Anna Lombroso per il Simplicissimus
Raccontano i libri di storia che il vero problema dei Carolingi era la legittimazione della loro egemonia, che doveva continuamente essere riaffermata non solo con incursioni, spedizioni militari, invasioni, saccheggi e razzie ma anche con la conclusione di nuove potenti alleanze e con l’ampliamento del controllo delle geografie, delle proprietà e delle rendite che ne derivavano e che significavano anche la disponibilità o addirittura della proprietà degli uomini che su esse vivevano e che vi si stabilivano per sfuggire ad altre incursioni, razzie, invasioni e saccheggi.
Lo deve aver pensato anche l’attuale impero carolingio con capitale Bruxelles nello stipulare alle svelte un patto impari con l’impero ottomano e il suo squallido sultano, come osserva il Simplicissimus qui: https://ilsimplicissimus2.wordpress.com/2016/03/21/robe-da-turchi/, impari perché è esplicito ed indubbio che si è andati ben oltre l’onorevole compromesso per dar vita a una oscena contrattazione come nelle barzellette sull’indole levantina e ambigua dei venditori di tappeti, consumata sulla pelle di disperati, tra i quali si annoverano profughi del terzo mondo “tradizionale” e stanziali del terzo mondo interno all’Europa. Così, rovesciando i termini dell’accordo stipulato tra Germania Federale e Turchia nel 1961, quando l’Europa aveva bisogno di lavoratori immigrati, il prodotto dell’operazione mercantile non cambia e una tragedia si converte in lucroso affare,
Sono più d’uno gli aspetti infami e vigliacchi di questa vicenda, a cominciare dal tentativo di sancire ulteriori differenze nella gestione delle disuguaglianze, che costituisce un caposaldo della politica europea, imponendo una capziosa distinzione tra meritevoli d’asilo perché sfuggono alle bombe, comprese quelle occidentali, e agli attentati, compresi quelli del nemico pubblico intermittente, i profughi aspiranti rifugiati, e gli immigrati, che sfuggono ad altre forme di morte ugualmente implacabile, fame, sete, miseria, di modo che anche l’asilo sia definitivamente arbitrario, discrezionale e preferibilmente elargito ai più ricattabili, quelli a un tempo senza ritorno e senza che nessuno li voglia. O la volontà di esternalizzare il problema del controllo dei flussi in una Turchia sempre più fascista e repressiva, che in barba alla sentenza della Corte di Giustizia, viene accreditata come ricovero “sicuro”, così da delegare l’abiezione a chi sembra intendersene e farlo senza troppi pudori, a riprova del fatto che l’Europa ha bisogno di proclamare superiorità civile e umanitaria, indole alla coesione sociale, per trattare liberamente con quelle destre razziste, xenofobe e nazionaliste che stendono i fili spinati, alzano muri, disegnano confini garantendo così con la cancellazione del lavoro non servile, delle sue conquiste e dei diritti, della libertà di critica e di espressione, la manutenzione dell’impalcatura di austerità, l’erosione delle sovranità statali e quindi lo smantellamento delle democrazie.
Fa parte integrante di questo disegno codardo e sciagurato l’incarico affidato alla Grecia, condannata a pagare tutto pagare caro per via dei suoi sussulti ribellisti, troppo poco soffocati, si vede, dai kapò locali, di esercitare la miserabile funzione di vigilante con la pistola, di sbirro su commissione, agli ordini di pattugliatori Nato, funzionari, guardie di confine che a un tempo applicheranno la selezione europei su profughi buoni e profughi cattivi, quelli illegali, e magari, nel tempo libero da questa discriminazione non solo amministrativa, potranno occuparsi anche dei greci buoni e di quelli cattivi, quelli illegali se si vogliono sottrarre a diktat, cravatte e direttive europee. O se, come in tanti stanno già facendo, intralciano le burocrazie, ostacolano lo screening, insomma dimostrano di avere ancora un po’ di amore per la civiltà quella vera, di rimpianto per la democrazia nata da loro, di illusione di umanità dividendo il poco cibo, gli scarsi medicinali, i panni caldi con il nuovo sale della terra, che scenda sulla terra insieme alle lacrime di dolore, di umiliazione e, ma solo in qualche caso, di vergogna.