Mamma non m'ama

Da Pythia
Se al mondo c'è una persona che dovrebbe conoscere profondamente i nostri gusti, le nostre passioni, le nostre necessità, è la mamma: se non altro perché abbiamo diviso la stessa casa per almeno vent'anni, anche trenta e oltre nel mio caso.
Si dà il caso, invece, che mamy non mi conosca affatto, e che oltretutto bellamente ignori le necessità che le paleso.
Ieri mattina, con gli auguri per l'onomastico, mi invitava a passare da casa a prendere un misterioso pacco: tornata dal mare, non resistendo alla curiosità nonostante la stanchezza del dolce far niente, mi sono precipitata alla materna magione.
Con un sorriso malizioso e soddisfatto, mamy mi porgeva una borsa, che conteneva un pacco del caffè buono della sua amica, delle caramelle, una stecca di cioccolato al latte e il misterioso pacco: "è delicato, aprilo a casa".
In cuor mio immaginavo fosse un servizio da gelato/macedonia, che ancora mancava in casetta nuova: la volta che ho avuto a pranzo i miei, ho servito il dessert a loro nelle uniche due coppette che avevo, mentre per me e Apollo ho dovuto usare due tazze.
Non ho resistito alla curiosità e non ho aspettato di arrivare a casa: con poca grazia ho strappato la carta che avvolgeva il pacco bomba e ho sbirciato all'interno. Ho pensato che il sole mi avesse dato alla testa, perché quello che ho visto era decisamente un'allucinazione: non è nello stile di mamy, lei così precisa e attenta nello scegliere i doni, né nel mio, né soprattutto rispondeva alle mie necessità, non solo perché non si trattava delle suddette coppette, ma perché è qualcosa da tenere in cucina, un optional per di più, e mamy sa che non ho posto. Quando vado a fare la spesa, devo attenermi alla lista, e niente extra, perché la mia dispensa è talmente ristretta che per riempirla devo sfoderare le mie vecchie virtù da campionessa di Tetris.
Trattasi di un servizio da tè giapponese, con teiera e quattro tazze di quelle senza manico, che magari hanno anche un nome tecnico, ma io, odiando cordialmente tutto ciò che è orientale, ignoro.
Mille domande mi si sono affacciate in testa: dove lo metto? Cosa me ne faccio? Come posso vincere la tentazione di scaraventarlo dalla finestra? O di dirle di riportarlo dove l'ha preso?
Il dove potrebbe essere risolvibile con poco: il servizio ha una sua scatola, quindi posso lasciarlo anche su una delle mensole in cucina o in sala.
Il cosa è già più complicato: il tè lo bevo in tazze grandi, e non sono solita né usare la teiera né avere ospiti cui servirlo in pompa magna. Potrei convertire le tazze in coppette da dessert, se non fosse che sono grandi a malapena da contenere mezza pallina di gelato.
Il come è veramente più difficile: perché innanzitutto non si fa, neanche con mamy, e perché poi la ucciderei. Aveva stampata in faccia l'espressione da "ti ho preso una cosa bellissima che ti piacerà tantissimo, che è proprio il tuo genere, che sarai contentissima di avere e di poter usare, che è uno sfizio che ti farà piacere e non è quello che ti aspettavi". Come quella volta che, anni fa, è tornata dalla gita a Roma con un vestito per me: da un po' di tempo avevo cacciato in fondo all'armadio i camicioni informi in cui ero solita nascondermi, con la scusa di nascondere la ciccia, e con soddisfazione sfoggiavo magliette aderenti e gonne che si modellavano sulle mie forme anziché occultarle in metri di stoffa. Per una volta si riuscivano a distinguere i tre punti chiave del corpo femminile, seno, vita e fianchi, che anche se non proprio snelli avevano la loro bella forma a clessidra.
E cosa tiro fuori dal pacchetto? Un abito di un meraviglioso cotone egiziano (lo adoro), morbido e coccoloso. Peccato che fosse una specie di burqa.
Manica a tre quarti, larga, con spalle a sbuffo. Pettorina con inserti di pizzo, l'unico dettaglio a salvarsi. Vita alta. E qualche chilometro quadro di stoffa ad avvolgere le gambe fino alla caviglia. Sono scesa a farle vedere come mi stava con le lacrime agli occhi, e lei sorrideva, tutta orgogliosa per avermi regalato qualcosa di bello. E il suo sguardo mi ha fatto ancora più male. Perché mi sono sentita la donna invisibile.
Il vestito è rimasto nell'armadio per un bel po': poi ho preso coraggio, sono andata in sartoria e me lo sono fatta sistemare, via le maniche e via un po' di stoffa. Ora lo porto, in casa, ma lo porto.
Credo che la stessa cosa succederà con il servizio da tè: resterà nella sua scatola, sulla mensola più alta, e poi lo userò. Come fioriera, magari.
È così difficile capire che per farmi felice mi basta un libro?
(Come se mamy non mi avesse mai accompagnata nel mio
sciopping libresco compulsivo...)

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