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Mamma, tuo figlio è un bio-nato?

Creato il 28 gennaio 2013 da Greeno @greeno_com

di Eleonora Chiais

Abiti in tessuti biologici occhieggiano dalle vetrine, la moda del riciclo si impone sulle passerelle più note così come sugli espositori delle griffe low cost, il consumo bio nel campo dell’alimentazione registra picchi nonostante la flessione generale delle vendite (anche) alimentari: insomma, parafrasando Roland Barthes, si potrebbe dire che «quest’anno è di moda il verde».

Il fatturato del biologico, d’altra parte, è stato stimato nel 2012 complessivamente sui 44,5 miliardi di euro con, nella sola Italia, un giro d’affari attorno a un miliardo e 550 milioni di euro secondo i dati proposti dall’Istituto per i Servizi del Mercato Agricolo (Ismea) per l’anno passato. Non si tratta comunque di una “novità di stagione”, almeno secondo la Confederazione Italiana Agricoltori, che guarda il settore come un comparto in ininterrotta crescita almeno dal 2006. Ma accanto alle abitudini di spesa nel settore alimentare, dove il bio-acquisto ha registrato un aumento del 13% nelle vendite l’anno scorso a fronte di un calo del 2% dei consumi tradizionali, la passione in verde ha contagiato anche settori ben lontani dalle tavole imbandite.

Primo tra tutti il comparto fashion che, facendo di necessità virtù, si è interessato via via maggiormente al rispetto ambientale archiviando definitivamente lo stereotipo che voleva l’abbigliamento biologico come prerogativa di hippies trasandati vestiti di camicione in canapa indiana. Il capo indiano Toro Seduto sosteneva: «Quando l’ultima fiamma sarà spenta, l’ultimo fiume avvelenato, l’ultimo pesce catturato, allora capirete che non si può mangiare denaro». Si tratta di un’affermazione importante: il celeberrimo capo indiano, infatti, vedeva la natura come un oggetto di valore da preservare e conservare mentre la tendenza contemporanea, come su queste pagine ha già ricordato Gianfranco Marrone, parrebbe piuttosto portare a definire la natura come il destinante. In quest’ottica ecco quindi che il consumatore “in verde” sembrerebbe essersi accorto delle difficoltà che si celano dietro il suo programma narrativo in un ambiente ormai contaminato fino ad un punto di non ritorno e sembrerebbe interessato a modificare questa situazione servendosi proprio delle contaminazioni.

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In pratica il consumatore “green”, presa coscienza del grado di inquinamento presente, sembrerebbe invocare un ritorno alla natura non solo attraverso la scelta di prodotti naturali al 100% (sempre più rari) ma grazie ad una pratica di ri-utilizzo di materiali preesistenti che, nonostante la loro origine artificiale diventano naturalizzati, o quantomeno “nature friendly”, attraverso la pratica del riuso. Non deve, a questo punto, stupire lo stretto rapporto che lega l’ecologia con l’economia.

I due termini, infatti, oltre ad essere etimologicamente imparentati grazie al suffisso “eco” (dal greco “oikos”: casa, ambiente), hanno la simile finalità di indagare sulle reti di relazioni vitali derivate da un’accezione più o meno ampia di oikos. Se l’ecologia, infatti, indaga le relazioni essenziali alla vita degli organismi l’economia, dal canto suo, studia quelle indispensabili alla vita dell’uomo socializzato. E se si accetta che la vita del moderno consumatore poggi, comunque, sulla biosfera ecco quindi che immediatamente questa biosfera diverrà semiosfera, nel caso specifico una semiosfera dei consumi. Se però, alla luce di tutto questo, si accetta senza contradditorio un interesse sempre crescente del consumatore adulto verso una serie di bio-prodotti quello che risulta più interessante ai nostri fini è la recente nascita di una nuova categoria di consumatori che potrebbero essere definiti, sulla falsariga della celebre definizione di Giovanni Boccia Artieri, “nativi biologici” e quindi contrapposti alla prima categoria di consumatori che potrebbero essere chiamati “immigrati biologici”.

Per tale categoria di consumatori in verde, abituati fin dal pannolino ad un consumo consapevole, si potrebbe introdurre la definizione di “bio-nati”.

Fenomenologia dei “bio-nati”

L’interesse per il mondo dell’abbigliamento biologico dunque si è imposto a fasce di consumatori sempre più ampie andando a raggiungere anche il target dei neo-genitori per definizione iper-consumatori interessati al benessere dei loro pargoli. Stando ai dati raccolti dal sistema di ricerca Matercom® in Italia la cifra delle donne con almeno un figlio al di sotto dei tre anni si aggira intorno ai 2 milioni e l’evento della nascita è salutato da questo target con un clima di aspettative che si palesano nello stravolgimento delle abitudini di acquisto.

Dati alla mano si tratta di un target composto da circa 1.980.000 famiglie, che rappresentano dunque il 10,4% delle famiglie presenti sul territorio nazionale, che assorbe il 12,9% del PIL. Nelle prime fasi di vita del bebè e durante il periodo delle gravidanze, riporta Matercom®, all’interno di questi nuclei famigliari si registra un fenomeno di iper-consumo che fa aumentare del 20% le spese rispetto al valore medio delle compere nelle famiglie senza figli o con eredi in età più avanzata.

Il comparto dell’abbigliamento neonatale, addirittura stando alle cifre relative al biennio 2008-2009 dell’ente Sita Ricerca, sembra essere estraneo alla congiuntura economica negativa mostrando lievi margini di crescita con un’espansione dei volumi dello 0,4%, alla quale corrisponde un aumento a valore dello 0,9%. Il più percentuale, si legge nei dati, riguarda in modo particolare alcune linee di abbigliamento infantile che si collocano nella fascia più elevata a causa della loro ricercatezza.

Al grido di consumo meno ma consumo meglio ecco che quindi questi consumatori sembrano optare per bio-scelte studiate anche per minimizzare i rischi e l’eco-fashion conquista culle e lettini nel rispetto della natura.  L’abbigliamento green, d’altra parte, permette di evitare le controindicazioni derivanti dalle tradizionali lavorazioni industriali che, tra macerazioni effettuate con prodotti chimici, super candeggi e trattamenti vari portano con sé anche un concreto rischio di allergie.

Se ai dati relativi al consumo di abiti realizzati in fibre ecologiche si aggiunge la tendenza al riciclo, al riutilizzo e al passaggio che da sempre caratterizza il settore vestimentario dei neonati ecco spiegato come mai tale comparto si può facilmente indicare come esemplificativo nel settore della moda in verde. Questi i dati, le tradizioni e i plus salutistici che spiegano l’imporsi del bio-mercato per neonati ma, dal punto di vista più strettamente semiotico, è interessante fermarsi a riflettere sul metodo utilizzato per comunicare la scelta ecologica.

Il caso: Ekobebè

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Esemplificativo è il caso del sito internet “Ekobebè” che, nato dall’esperienza di due mamme professioniste nel settore dell’infanzia, si propone come un portale di e-commerce riservato all’abbigliamento biologico per l’infanzia. Il sito si presenta come vincente sotto molti punti di vista e, come spesso accade per i portali di e-commerce dedicati al bio-commercio, racchiude nella sezione dedicata alla “filosofia del sito” molti punti importanti per l’analisi.

In primo luogo le curatrici sono sia “eroi” che “mandanti” perché loro stesse raccontano di aver testato direttamente sulla propria progenie i prodotti messi in vendita e di aver trovato nelle merci tanto degli “aiutanti magici”, nel senso dei mezzi fisici per evitare irritazioni eccetera, quanto degli “oggetti di valore”, nel senso dei mezzi desiderati e finalmente raggiunti in un’ottica futura di salvaguardia dell’ambiente.

In questo ultimo valore si trovano racchiusi i desideri che caratterizzano la scelta della moda in verde per neonati: se oggi mi preoccupo di fornire al mio erede un abbigliamento che lo preservi da eventuali problemi connessi ai trattamenti chimici degli abiti contemporaneamente mi preoccupo anche del futuro del suddetto erede mettendo in moto un circolo virtuoso che, grazie ad un consumo biologicamente consapevole, permetta al pargolo di vivere in un ambiente meno inquinato in futuro.

E l’attenzione per il futuro dei bambini di oggi trova realizzazione anche nel terzo dettaglio che caratterizza la filosofia dell’azienda visto che, forti del desiderio di promuovere il benessere infantile a tutti i costi, le due curatrici e ideatrici del sito hanno scelto di devolvere una percentuale del loro ricavato annuo ad un’associazione benefica rivolta appunto all’infanzia. Dunque il sillogismo è abbastanza semplice: acquistando un capo biologico i neo-genitori, target affetto – come abbiamo visto – da una frenesia consumistica, ottengono in un passaggio solo tre tipi diversi di gratificazioni.

Bionati di oggi, bioconsumatori di domani?

Alla luce di tutto ciò è facile notare come la gratificazione connessa all’esperienza di acquisto storicamente condizioni gli acquisti stessi promuovendo valori che diventano così identitari per il soggetto e lo modificano oltre a modificare, indubbiamente, gli oggetti in se’. Ecco dunque come il “naturalismo”, diventato ormai un valore aggiunto (e positivo) nelle merci e specificamente nelle merci destinate all’infanzia, permette di far accedere a un nuovo livello di pertinenza sociale il valore del biologico andando a condizionare le formazione dell’identità dei consumatori “bionati” e fornendo loro gli indispensabili strumenti di base per un consumo biologico futuro.

Come una profezia che si auto-adempie ecco dunque che l’interesse per il biologico potrà davvero portare ad un circolo virtuoso che potrebbe (e ha tutto le carte in regola per) condizionare il futuro trend dei consumi.


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