Festa della mamma: eh già! E chi la festeggia più? Eppure proprio ieri sera ero ad una cena di mamme allegre ed entusiaste. Essere mamme stanca, ma evidentemente gratifica.
Inizio questa domenica uggiosa e umida alzandomi come sempre molto presto e leggendo, mentre faccio colazione, un’intervista ad una scrittrice americana che non conosco: Allegra Goodman. L’intervista con l’autrice, così titola il tabloid, me la leggo fino all’ultima riga: sono solo sei domande ma molto accattivanti e pertinenti. Le prime risposte le apprezzo da un punto di vista letterario e m’invitano a scoprire di più su questa autrice, del resto questo è lo scopo dell’intervista. Poi, per puro caso, come si dice — caso al quale io non credo essendoci sempre un senso, anche se recondito, in ogni cosa che ci accade, dalla più piccola alla più importante — ecco che sorrido con tenerezza all’ultima domanda:
L’essere mamma di quattro figli non ha ostacolato la sua creatività?
Non prendersi cura dei propri figli sarebbe la morte della creatività. I miei figli hanno 18, 15, 11 e 8 anni. Non sono più bebè, ma ancora trascorro la maggior parte del mio tempo portando i miei figli di qua e di là. È la cosa più importante per me.
E mi ci trovo bene in questa risposta anche se nel mio caso la prole non corrisponde a 4. Ma per cortesia, notate come me la prima frase di risposta a questa domanda precisa:
non prendersi cura dei propri figli — quindi correre, preoccuparsi, seguirli, sostenerli, guidarli, arrabbiarsi, sgridarli, organizzare, cucinare, lavare…devo continuare?
sarebbe la morte della creatività — attenzione, non ha dichiarato: mi renderebbe difficile… in effetti sarebbe meglio che non avessi questo impegno, questo ruolo è talmente impegnativo che devo rinunciare, no no…
…sarebbe la morte della creatività
e dulcis in fundo, occuparsi di loro è la cosa più importante per questa autrice.
E ancora una volta i figli sono il lievito della vita, quella forza trainante che ti fa andare avanti nonostante le difficoltà. Ma c’è di più: sono veramente una molla e uno stimolo a concentrarsi maggiormente. È normale del resto che sia così. Per capirlo bisognerebbe aver provato a scrivere seriamente un testo più lungo di una lettera d’amore o alla mamma, piuttosto che il tema scolastico o la relazione scritta per il capo da portare alla riunione del lunedì.
Avete mai provato? Bene, fatelo. Avete un’idea chiara in testa, sapete a che punto siete del vostro romanzo, dovete mettervi in una condizione di concentrazione massima, quasi una catarsi, e le parole si devono materializzare sulla carta, piuttosto che sul monitor del pc. E non staccate il sedere dalla sedia fino a quando non avete finito il capitolo a meno che non si sia strozzato il gatto, bisogna chiamare il 118 oppure l’impellenza fisiologica sia talmente urgente che sono concessi 30 secondi per evitare il peggio. Diversamente, vostra figlia o figlio vi chiama dall’altra stanza perché vuole un suggerimento sulla soluzione di un’espressione matematica. E vi assicuro che vi alzate, l’aiutate, tornate alla vostra scrivania e continuate. Ammetto che questa abilità giunge con il tempo e con la capacità, che si rafforza con l’esperienza, di staccare a comando e rientrare immediatamente nella storia. Chi scrive capisce perfettamente cosa sto dicendo, del resto noi scriviamo nella mente anche quando non abbiamo carta, penna e pc. Qual è il problema nel seguire un figlio che t’interrompe? Anche se, per concludere e per correttezza, va detto che ci sono certe fasi cruciali, soprattutto di un testo lungo e dalla trama complessa, che richiedono la concentrazione massima, il silenzio assoluto e la solitudine totale.
Ma se non ci fossero i figli che poi ti chiedono, come se fosse niente: — Allora, a che punto sei del tuo romanzo? Non l’hai ancora finito? È ovvio che questo è uno sprone senza pari per qualsiasi mamma scrittrice. Magari nessuno lo leggerà, ma tuo figlio sì. A costo di lasciarglielo in un cassetto, in eredità anche per i posteri. Chissà!