Che spreco questo super film sul più super di tutti i supereroi.
Senza voler fare torto a nessuno, chi scrive non è interessato a dissertare di fumetti e tradimenti di intenzioni, qui, sotto esame c’è solo il film e non la fedeltà ad un eroe in due dimensioni, che ha preso vita dalle consunte pagine di un mezzo completamente diverso quello cinematografico. Paradossalmente per un film di questo tipo, le parti migliori, quelle che funzionano davvero, sono quelle senza effetti speciali. I frequenti flashback che riguardano la vita del piccolo Clark Kent sono le cose migliori del film, che mostra il fiato corto proprio quando deve fare sfoggio dei suoi effetti speciali. I limiti sono dettati da una parte dal prsesappochismo degli effetti in se, assolutamente poco speciali e spesso fin troppo finti, più di una volta si ha l’impressione di guardare un videogame, mentre dall’altra a mostrare il fiato corto è l’esagerata lunghezze delle sequenze d’azione, i combattimenti soprattutto, hanno una durata spropositata, pantagruelica, che sconfina nella noia. Il tanto atteso e non necessario reboot delle gesta dell’uomo d’acciaio finisce così per soffrire di un’assenza di sceneggiatura che difficilmente si può colmare con la buona volontà dello spettatore, impossibilitato a far quadrare tutto quanto e da un certo punto in poi incapace di accettare tutto quello che lo schermo bovinamente gli rimanda. In sintesi Man of steel fa acqua da tutte le parti e se ci si ferma a riflettere è impossibile non dileggiare l’ingenuità di scrittura di un film che palesemente tenta di nascondere le proprie magagne grazie al sopravvalutato specchietto per allodole degli effetti speciali e dell’azione a rotta di collo.
Esiste poi la questione del contenuto. Da qualunque prospettiva la si voglia guardare, la storia di Superman ha fortissime similitudini con il vangelo. Il Dio caduto sulla terra, fattosi uomo e cresciuto dagli uomini per aiutarli a seguire la retta via attraverso la fede, trova il suo perfetto doppio nel figlio di Jor-El, amorevolmente accudito dal padre adottivo Jonathan Kent, capace di regalargli una casa, una famigllia e un punto di vista umano. La storia del Dio innamorato degli uomini, è diventata un vero e proprio archetipo e nel film di Snyder forse più che in altre versioni, la matrice religiosa che lo contraddistingue è fortemente accentuata, se non a volte addirittura fastidiosamente insistita. La differenza sta però nell’approccio. Se idealmente Superman rappresenta Gesù, le scelte che lo porteranno ad essere l’uomo d’acciaio sono qui da ricondursi al vecchio testamento. Il Superman di Snyder e Nolan si dimostra Dio vendicativo e preda dell’ira, pronto forse a lasciar morire e certamente perfino ad uccidere. Ecco il vero problema di un film che non sa essere coerente con la materia che racconta, incapace di capirne le implicazioni e gli obblighi. Man of steel fa di ogni erba un fascio, confondendo giustizia con violenza e non riuscendo di fatto a creare vera empatia con lo spettatore, perennemente indeciso se amare e identificarsi in un super uomo o temere un Dio dalle debolezze fin troppo umane.
Alla fine della fiera resta tanta amarezza, molta dimenticabile azione ed alcune belle sequenze, come quella finale, nuovamente un flashback, in cui un certo gusto per il lirismo e per la messa in scena fanno capolino qua e là in un deserto di digitale anonimia, votata forse a compiacere i palati più grossolani.