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Management dello smantellamento

Creato il 18 novembre 2013 da Sdemetz @stedem

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Qualche giorno fa sono passata per un mercato di Milano. Era ormai ora di fine lavori e lo scenario, come sempre, era quello di un campo di battaglia. Carte, verdure, scatole, stoffe, fiori, bucce, e spazzatura di vario genere sparsa sulla strada e, ai lati, montagne di sacchi e di cassette, talvolta accatastate, talvolta buttate come fossero pronte per un rogo.

Ho un debole per il mercato in fase di smantellamento. Qualche ora prima è tutto un vociare, vendere, un urlare “Che limoni! Donne! Non ci credo!”,  un chiedere, un comprare. Poi s’impone un urlare diverso: “Carica! Gira! Vai, vai. Ciao, alla prossima.” E infine si sente solo il vrrrr, shhhhh degli spazzini, gli operatori ecologici, che rimettono in sesto la strada.

Questa volta mi sono proprio fermata a guardare. Perché mi è passata per la testa un’immagine non molto diversa: quella del giorno dopo la Coppa del Mondo in Val Gardena. Allestiamo lo stadio in 10 giorni e in due giornate lo dobbiamo restituite alla sua normalità: un parcheggio per gli sciatori. Cataste di materiale di sicurezza per la pista, cassonetti tracimanti di cartone o striscioni, o carte e bicchieri di plastica per terra, camion che entrano e escono, gente che sposta, toglie, smantella, carica…

Certo, non è paragonabile il mercato settimanale a un evento, ma il terreno lasciato è molto simile. E mentre il mio sguardo si fermava sulle bucce di arance, i gambi di sedani e le scatole di scarpe mi sono detta: “Accipicchia, ora che ci penso non ho mai visto in nessuna libreria un libro sul management dello smantellamento!”.

 Mi rendo conto che è molto più bello scrivere e leggere di come costruire qualcosa, ma forse non sarebbe male fare uno studio su come i grandi eventi gestiscono questa fase. Una fase che non vede nessuno e non interessa a nessuno, ma che è importantissima. Per almeno tre motivi.

 1. le tracce

Questo è un po’ il mio chiodo fisso. Una volta smantellato, pulito, ripristinato il terreno alla sua vita ordinaria, cosa rimane? Certo, in questo caso lo smantellamento non è l’unico passaggio, ma ne costituisce una tappa importante..

Un evento deve poter vivere anche dopo, sebbene in una forma diversa, e allora come facciamo a far si che ciò che non abbiamo smantellato non diventi un orrore architettonico avviato verso una naturale e progressiva decadenza?

 2. il materiale

Il materiale è tanto e in parte è noleggiato, in parte acquistato. Organizzare la restituzione, l’immagazzinamento o addirittura le vendita di merce usata per la manifestazione non è affare di poco conto. Nel nostro stadio ogni anno spariscono i bidoni della spazzatura! Come se ci fossero fantasmi che passano e se li portano via. Oppure, accade anche che materiale acquistato si usuri stupidamente. Mi ha raccontato un’amica che a Torino hanno sgomberato recentemente le case del villaggio olimpico. Nove anni dopo hanno svuotato le case abitate dagli atleti buttando via mobili, lavatrici, televisori! Se questo è vero, a maggior ragione, ci vorrebbe anche un bel master in management dello smantellamento.

Si evitano soldi buttati via, scempi di vario tipo, costi raddoppiati perché i conti poi all’ufficio contabile non tornano.

Questi sprechi ci riportano in ogni caso al punto 1: il management degli eventi deve prevedere sia una pianificazione per il durante che per il dopo. Troppo spesso, invece, il dopo è semplicemente ignorato.

3. l’umore

Siete mai stati nel luogo di un evento il giorno dopo, quando la festa è finita? È una cosa tristissima. Sparisce ciò che si è costruito e con esso sparisce il contenitore fisico delle nostre emozioni. Rimangono i materiali e le persone, i reduci, quelli che devono lavorare ancora e che sono stanchi e non sono immuni dall’event blues, quella depressione post evento che ci colpisce un po’ tutti, e che può avere conseguenze anche molto negative.

La stanchezza porta a vedere tutto grigio. Si ha voglia di andare a casa. E spesso emergono i nervosismi o le frustrazioni trattenuti durante l’evento.

È inevitabile , ma bisogna esserne consapevoli. Prima di tutto per rispetto dei collaboratori. Un buon lavoro prima (gestione, relazioni, processi) può evitare lo scoppiare di conflitti.

Le delusioni, invece sono, ahimè, personali e non sempre si riesce a intervenire.

Quando ho lavoravo a Torino per le Olimpiadi, mi ero dilettata a girare con una videocamera e intervistare i miei colleghi. Facevo a tutti le stesse due domande: “Qual è stata cosa più bella e quale la più brutta di questi Giochi Olimpici?”  Ricordo bene una risposta: la cosa bella era stata l’illusione e la brutta, la disillusione.

Ecco cosa intendo dire con agire in modo consapevole per evitare di perdere ” fans”. E si sa, se a non amarti più sono i membri della famiglia, i problemi diventano seri…

Nella mia esperienza ho notato che in genere amiamo concentrarci sull’output dell’evento in sé. Tutto il resto annoia, disturba, non appassiona. Figuriamoci il dopo. Ma  il vero successo, dipende proprio da come è questo dopo.  Perché anche se i riflettori si spengono, le persone (collaboratori, fornitori, partners …) e le cose (materiale, territorio, infrastrutture) continuano ad esserci.

Per questo, invito, chi ne avesse voglia a scrivere un bel libro che potrebbe suonare così:

Il management dello smantellamento.


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