Manca mezz'ora ai risultati dei ballottaggi.
Un'ora fa, in pausa pranzo, in giro per corso Magenta per alla ricerca di un panino, incontro il mio uomo, quasi per caso.
- Meno male che ti incontro, gli urlo in faccia senza preamboli. - Dimmi se vinciamo o no! Sono più nervoso di quando ero in sala parto...
Mi fa un buffetto sulla guancia, un buffetto, capite?
Come dire, povero essere umano, sei ancora lì? Non hai niente di più 'alto' a cui pensare?
Gli sposto la mano con violenza. E gli pianto un dito, dritto come un fuso, tra gli occhi, gridando:
- Senti un po', uccellaccio mal riuscito, ora basta. Io non sono un animale da esperimento, non sono un povero uomo su cui qualcuno fa le sue valutazioni, io non sono a tua disposizione, chiunque tu sia.
Io sono un uomo, bello o brutto, buono o cattivo, tonto o intelligente, che vive la sua vita, prende le sue decisioni, fa i suoi errori e, nonostante molti lo nascondono, ha le sue debolezze, i suoi scadimenti, le sue tentazioni.
E continuo, quasi con la bava alla bocca.
- Da dove arrivi tu, forse da lassù, forse da laggiù, che cosa fate? Vi sedete intorno a un tavolo e decidete le sorti di noi poveri mortali? Dividete il globo tra buono e cattivi? Bevete il caffé come nella pubblicità?
Ma sapete cos'è vivere, sudare, lottare, sbagliare, gioire, fare sesso, correre, mangiare, morire...? Voi non sapete niente, voi non siete niente, voi non servite a niente!
E concludo.
- E ora fammi un piacere. Fai quello che vuoi, vai dove vuoi, pensa quello che vuoi, decidi quello che vuoi. Ma stammi alla larga. Sono 50anni che mi stai alla larga, perché ora mi sei venuto tra i piedi? Vattene, sparisci, scompari, dileguati.
E questa volta, porca miseria, sono io che me ne vado. Mi giro e scompaio come se non fossi mai esistito.
Per raggiungere il mio ufficio, per accendere il computer, per collegarmi al sito di Repubblica e per vedere se questo paese, finalmente si sta risvegliando da un orribile incubo. O se dobbiamo ancora tornare a dormire.