Nella mia storia di lettrice ci sono libri che ho amato particolarmente e ho letto e riletto tante di quelle volte da renderli praticamente inutilizzabili.
Tra questi uno è “Il nome della rosa” il giallo storico dove i personaggi vengono assassinati con la feroce regolarità di un romanzo di Agatha Christie, mentre il detective è lo splendido Guglielmo da Bskerville (…da Baskerville! appunto), uno Scherlock Holmes in abiti monastici, acuto e intelligente, ma anche ironico e compiaciuto della propria capacità deduttiva.
Ma “Il nome della rosa” non è solo questo, è anche una enorme biblioteca, come quella dell’abazia che brucerà alla fine della storia, in cui echeggiano citazioni e suggestioni di altri libri, che si susseguono e dialogano fra loro, che appaiono via via più nitide ad ogni nuova rilettura, quando la suspense lascia il posto al piacere dell’intelletto.
Un altro romanzo che ho amato tantissimo è “Il buio oltre la siepe“, la narrazione di una vicenda di razzismo e pregiudizio, ambientata a Maycomb, una sonnolenta ed immaginaria cittadina di una altrettanto sonnolenta e conformista contea dell’Alabama, narrata con la voce attenta di una bambina, Scout, che proprio nello svolgimento del racconto si affaccia al modo degli adulti e impara a comprendere i meccanismi.
Che nello stesso giorno siano mancati Harper Lee e Umberto Eco mi lascia un incredibile senso di vuoto.