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Quando ho iniziato a leggere Mancarsi (Einaudi), di Diego De Silva, mi trovavo a piazza San Silvestro, a Roma. Era un sabato di due settimane fa, scendeva la sera e faceva freddo. Di fianco a me mio marito (è lui che mi ha regalato il libro) ha letto rapidamente la prima pagina confidandomi, poi, il momento esatto, il suo fotogramma, che racchiude la dolcezza e la tenerezza che lo ha spinto tra le mie braccia. Non starò qui a scriverlo, credo che non possa interessare a nessuno. A me sì, e me lo tengo stretto come una di quelle cose solo mie, delle quali sono tanto gelosa.
“L'unico vero possesso dell'uomo è nelle cose che ha perduto” scrive Franz Werfel e Diego De Silva lo ha posto in calce al suo libro. E' una frase potente che spezza le gambe e gela il sangue nelle vene. So esattamente quale significato hanno queste parole, è un'esperienza indiretta, potrei dire che ho osservato per anni chi ha subìta la perdita, chi ha tentato di colmare, ogni giorno e ogni ora della sua esistenza, quella perdita, chi l'ha idolatrata trasformandola nell'unico possesso possibile. Sono spettrice passiva, ho assistito senza poter fare alcunché, talvolta ho anche giudicato. Pensate un po'.
Anni dopo, parecchi anni dopo, mi sono ritrovata a scrivere questa frase: “a volte ho come la sensazione di mancare a me stessa”. E la cosa incredibile è che non ne capivo il significato, non riuscivo a decifrare l'origine di queste parole. Mi spaventavano, quello sì. Ma le tenevo lì, come se stessero aspettando un seguito. Difatti non avevo messo un punto, ma tre punti di sospensione.
Mancarsi, dunque. La perdita. L'amore. I resti. I ritrovamenti. Le domande.
Ci sono tante domande tra queste pagine. Non sono riuscita a dare risposte certe. E un po' mi sono arrabbiata, ho fatto a pugni con una storia che faceva naufragare le certezze e sentire continuamente imperfetti. Ma credo sia un'illusione presumere di riuscire a trovare le risposte soprattutto quando si parla di amore.
Siamo così sfuggenti, a volte anche a noi stessi.
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