Francesca Barnabà 12 aprile 2013
Tra le varie accezioni del verbo mancare rientra quella relativa alla situazione in cui qualcuno non è presente in un luogo. Ma quando manca veramente qualcuno? E in quale modo? Qualcuno potrebbe rispondere che se una persona ci manca, significa che proviamo del sentimento per essa. Può mancarci il suo modo di sorridere, di rimproverarci, oppure potrebbero mancarci le solite frasi che direbbe in determinate circostanze. Ma se invece ti mancasse solo l’idea che possiedi di quel qualcuno? Magari ci accorgiamo che in realtà, ci manca lo spazio che quella persona ha occupato, con le sue piccole manie, i suoi pensieri, le sue prese di posizione o i suoi dinieghi. Ma può mancarti qualcuno che non hai mai conosciuto? Secondo le apparenze, ciò sarebbe impossibile; ma così non è per Diego De Silva, il quale, nella sua ultima opera, Mancarsi, riesce a mettere insieme tramite un sottile filo rosso costituito da un bistrot e dal poster di Buster Keaton appeso alla parete, la vicenda di un uomo e una donna che si mancano fisicamente, perché il caso non li fa riunire mai nello stesso posto allo stesso momento. Eppure si mancano, perché sono uno l’alter ego dell’altra, perché ambiscono alle stesse cose, pur non conoscendosi. I due protagonisti del racconto, Nicola e Irene, pensano e agiscono secondo una sorta di legge per compensazione. Entrambi affrontano l’abbandono del loro partner: Nicola fa i conti con la morte della moglie, Irene lascia il marito; entrambi non sono soddisfatti delle loro relazioni: Nicola passa il tempo a scrivere su un foglietto tutto ciò che avrebbe voluto dire alla sua Licia, Irene, invece, sente di essersi spiegata a sufficienza, di non avere altro da aggiungere.
Nicola, essendosi ritrovato di colpo con una grande fetta di spazio vuoto da dover riempire, decide di non permettere più a nessun essere umano di rubargli la sensazione che non assaporava da anni: la libertà; Irene invece, trascorre il suo tempo libero destreggiandosi fra le avances che gli uomini le fanno. Due storie, due destini che non si incrociano mai, a meno che un attimo, una frazione di secondo, non li faccia incontrare: ed è quest’attimo che attendiamo lungo tutto il racconto, è questo momento desiderato sin dalla prima pagina che si condensa in maniera breve e rapida nelle ultime righe del libro. Perché come in ogni viaggio, ciò che ci rende felici non è la meta da raggiungere, ma l’attesa, la preparazione, la voglia di mettersi in cammino; allo stesso modo, De Silva ci descrive i pensieri, i vuoti, le speranze disattese che i due protagonisti hanno lungo tutta la narrazione; e lo fa in modo nudo, crudele, senza orpelli romantici da cavaliere medievale in cerca della sua fanciulla da salvare. Li dipinge in modo essenziale e ci delinea una passione arida, che sembra fatta di frasi scritte sui Post-it da attaccare al frigo, dove non si dice mai “ti amo”, perché i personaggi non credono all’amore, perché De Silva lo descrive come una fantasia infantile: ma in fondo, Nicola e Irene lo desiderano ardentemente, è proprio questo il loro leitmotiv: una ricerca spasmodica, incessante, la quale culminerà in un elegante bistrot fuori dal tempo.