“Mancina nello sguardo” (La Vita Felice, 2012. Prefazione di Rita Pacilio) è l’ultimo libro di poesie di Floriana Coppola una scrittrice che ha alle spalle diverse pubblicazioni tra poesia e prosa. Quest’ultima tappa del suo percorso artistico è un’opera densa e intensa, in cui lo sguardo della poetessa attraversa le proprie regioni interiori e raggiunge gli altri perché è così che nasce e vive la poesia quando è intesa e vissuta come esperienza di vita.
Esperienza che facendosi scrittura amplifica la ricchezza del suo senso e sono indicativi a questo proposito i versi “Ciò che non posso dire lo scrivo/ e consegno muta me stessa alle cose”. E’ vero che spesso ci si sente ammutoliti davanti alla vita, alle cose, alle persone e allora la scrittura diventa l’unica via di salvezza, l’unico modo di resistere all’afasia a cui ci costringe il mondo e gli altri non solo quando non ci capiscono, ma non riescono a vederci. La poetessa così si rende visibile attraverso la scrittura, declinando in questo suo libro ricco di contenuti, il primato della parola scritta su quella orale e ancor più la sua fede nella parola poetica come l’unica in grado di dire la verità profonda che vive in ognuno di noi. Eppure quel “e consegno muta me stessa alle cose” sembra andare in senso inverso, ossia la poetessa si ritira, si fa invisibile perché vibri e parli soltanto la poesia. Poesia che come la poetessa ci dice all’inizio del libro è cibo, pane e quindi nutrimento spirituale per chi la scrive e per chi la legge e che fa della poesia uno dei mezzi privilegiati per conoscere il mondo e se stessi.
In “Mancina dello sguardo” forte è il senso del tempo che passa e lo si apprende fin dall’inizio se la poetessa esordisce scrivendo: “ricordare, memorizzare, archiviare il passato e i volti per farne sangue e andare avanti nel giorno che mi aspetta” (pag 13) e poi a pag.16 “il passato scorre in vena, si incunea nei solchi amari di ogni pensiero al di là dei giudizi e della pena, diventa espiazione e scrittura”. Lasciare andare il passato, farne scrittura in espiazione del presente? O per vivere il presente e poter progettare un futuro, aprire la porta al futuro, dare ad esso la possibilità di conformarsi al nostro essere? La vita umana, in fondo, si dipana tra ciò che è e ciò che avrebbe potuto essere e dunque anche tra ciò che siamo e ciò che avremmo potuto essere. L’oscillazione che si avverte nelle pagine di questo libro tra passato e presente non si realizza tuttavia nel rimpianto perché il passato non è esplicitato nella narrazione di ricordi ma piuttosto costituisce l’humus su cui si sviluppa la scrittura di Floriana Coppola. Una scrittura, forte, virile, (peccato non esista un aggettivo che indichi la forza femminile) e direi anche sensuale per la carica fisica, carnale ed anche emotiva che i suoi versi sono in grado di risvegliare. Una scrittura che esprime la ribellione di chi è “sotto assedio perenne” però non si lascia andare, non soccombe allo stato delle cose, ma gli oppone la propria visione, il proprio modo di essere nel mondo. Ed è proprio il verbo essere quello che ricorre in questi versi a sottolineare l’esigenza quanto mai urgente, specie in questo nostro tempo, di essere, autenticamente essere per dire il nostro no all’indifferenza, all’ipocrisia, alle tante ingiustizie che avvelenano il mondo. E come ripeto Floriana Coppola lo fa attraverso la sua poesia che ha accenti vigorosi in cui l’indignazione si avvale dell’uso di immagini molto pregnanti come quando scrive “abito la mia quieta casa di carte e fiamme” ed è davvero una scrittura fiammeggiante, magmatica quella di Floriana dove le immagini, appunto, si fanno riflesso di stati interiori, tuttavia lo sguardo della poetessa non è rivolto solo verso la propria interiorità, la propria biografia ma anche verso l’esterno, nel tentativo di scorgere ciò che si cela dietro l’apparenza. Rivolto, dunque, questo suo sguardo accogliente verso gli altri e/o l’altro, sia esso la madre, il proprio uomo, l’operaio licenziato, il cassaintegrato.
Cerco oltre il visibile
cerco l’immanente
ciò che rimane escluso
versi che tutti i poeti, a mio avviso, sottoscriverebbero perché è lì che lo sguardo del poeta si rivolge. Uno sguardo attento a ciò che è piccolo, insignificante ai più ma che trasfigurato dalla poesia assume un grande valore. Per un poeta tutto ha il suo senso, la sua ragione d’essere e il suo compito è abbracciare l’insignificante, illuminarlo e in questa stessa bella poesia di cui ho riportato i versi iniziali, quelli che la concludono recitano
devo restare sola
sapere che sono sola
per risalire alla luce
A dire che la solitudine, come condizione interiore e non solo, è la conditio sine quan non che occorre non solo per scendere nelle proprie tenebre, per attraversarle ma anche per abbandonarle, per risalire alla luce ogni volta come fosse una nuova nascita e lasciarne le tracce sulla pagina. Tracce di ombra e di luce, dal cui cuore sgorga il canto come una sosta ci dice la poetessa nella poesia di pag 27. Sosta e ristoro alla fatica del vivere, alle difficoltà dei rapporti umani, fatti spesso di inquietudini e di conflitti, di malintesi. E allora il canto aiuta a liberarsi dal superfluo, a vivere liberi cogliendo e coltivando l’essenziale; la poesia è la lampada accesa della vergine previdente della parabola evangelica così che il buio, la notte, anzi le tanti notti della vita, fino alla Notte ultima, ci trovi svegli. C’è anche disincanto in queste poesie, redento tuttavia dalla scrittura e dall’amore perché nei versi di Floriana Coppola si avverte un profondo senso di umanità, di partecipazione alla nostra umana fragilità e vulnerabilità. E mi piace concludere queste brevi note commentando un verso, il primo verso della poesia della già citata pag 16 “Sono un animale ruminante” dove il ruminare in effetti è un verbo appropriato per il fare poetico in quanto rimanda a una doppia masticazione quella della realtà e quella del linguaggio, al pensare e ripensare, al meditare a lungo. Fa pensare al lungo viaggio della parola prima dell’approdo salvifico sulla pagina.
Cibo parola
poesia come pane
frammenti dispersi tra i denti
tra le corse affannate
di prima mattina
mordo affamata la frase e strappo
la buccia della vita a brani
cibo miele amaro rappreso tra le dita
ingoio parole e mi distendo a terra
allungo le gambe, guardo il cielo
la nube, un felino che ringhia
l’erba solletica la pelle, il respiro si allarga
un lago calmo tra radure dolenti
frantumo la scorza ruvida del pane
misuro la distanza
per non averne più paura
è lo steccato naturale tra gli uomini
la poesia marca il territorio
con i suoi picchetti di carta e di fumo
poesia come pane
nutrimento per pochi inabili
cibo dolceamaro
solo per me
***
Mi tengo unita a forza di remi
e poi mi disperdo
di onda in onda
anomala marea
di passo in passo
mi aggroviglio
e poi volo nomade
di scoglio in scoglio
alligno inquieto cardo
nelle fessure umide del tuo sguardo
veleggio rollo mi piego
appoggio il fianco di legno al vento
vaporosa e intatta la quadratura bianca della vela
lo schiaffo d’aria accoglie e di luce ardita
si tende nella gloria gialla del sole
sono avvinghiata
ai faraglioni del tuo corpo lavico
rendimi leggera
e di leggerezza vestita
***
Ho solo tre lacci nelle mani
uno rosso per gli occhi
uno corto per la gola
l’ultimo che non conto
per il volo senza atterraggio
ho lanciato il cuore e i piedi
da un marciapiedi all’altro
per incontrare le ruote dei passanti
volevo farla finita
ma non hanno voluto
la strada mi ha rapito
non conosce tregue né soste
al sovrano sconcerto del dolore
ma vuole ancora il racconto e il canto
sono nata a maggio
ho il vento di aprile nei capelli
e sono mancina
nello sguardo
***
Vedo le nubi disporsi in cielo
come una partitura musicale di Chopin
un arcipelago bianco in muta perenne
epifania intraducibile della domanda
e del viaggio
“amo le ragazze pensose e spensierate
vivono il presente procrastinando il futuro”
ha detto la donna morta nel mare d’Itri
eppure ha rimandato al mittente
il mio manoscritto senza leggerlo
appena sfiorato con l’incuria materna
che mi segue da sempre
la fedele cagna sceglie il padrone scodinzolando
il suo cuore un cardo selvatico
ogni incontro finisce in un cimitero di abbracci
il suo sorriso è solo un fregio perspicace
su un foglio di carta stropicciato dal tempo
la testa reclina da un lato
gli occhi incavati di chi conosce il dolore
e il dolore ha vinto
non fiorisce la tenerezza
rimane chiusa come dura pietra sul cuore
un sasso tra il vuoto e il pieno
di ogni respiro spezzato
l’orologio si è fermato altrove
tra Napoli e Berlino
tutto ora è silenzio e quiete
come due mani raccolte in grembo
sul prato degli asfodeli
***
I fiori oscillano al vento
e il vento ha cento voci
ogni foglia di platano e di tiglio
si fa arpa violino e corda
si fa sipario e musica tra me e l’altro
una pausa lunga una breve
un silenzio e poi una frase intera
tra una palma e il noce
a un tratto l’aria
si innalza tra gli olmi e i pini
piega gli alberi e i larici
scrosciando un lungo applauso
di rami arbusti e aghi verdissimi
ciò che non posso dire lo scrivo
e consegno muta me stessa alle cose
sanguino nei boschi tra giardini di eucalipto
un coro di ulivi più avanti fa vibrare le foglie
minuscoli ovali votivi d’argento
ora sono un albero e mi innalzo
un gelso frusciante nel vento
un bagliore di luce e di furia
scompagina la chioma
scendo in alto salgo in basso
mi muovo nei sentieri nodosi del fusto
il mio corpo e ogni cerchio racconta
è l’archivio segreto
del mondo
***
Sono animale ruminante
bruco l’erba e il ricordo
con calma lenta, calma ossessiva
muovo la felce amara nella mandibola storta
rimugino la mia condanna
sotto il cielo noncurante
il fiume straborda, macchia
si infila, si fa posto nella riva
ingoia suolo ad ogni onda
ho scelto l’esilio, ferita inflitta con mani ruvide
prende il posto del respiro più semplice
il respiro non è mai un’operazione semplice
non conosco tregue comode
veleggio nel mare in acque in tempesta
e non cerco approdi
hanno tutti ragione tranne me
sono ricca nell’altrove
povera fino all’inedia
nel tuo sguardo distratto
stabilisco ogni giorno le mie priorità
un elenco essenziale da portare in tasca
e poi le dimentico per stanchezza
come un matto le chiavi di casa
sono anni che non mi avvicino
al riscatto, occasione unica mancata
non voglio risarcimenti facili
i conti non devono tornare
meglio rimanere in credito con il passato
il risentimento è una colla acida che inchioda le ossa
al petto e poi vischiosa ti lega alla terra
diventa cibo quotidiano e trancia le ali al sogno
mi vesto di approssimazioni a buon mercato
e oscena sbrodola la mia anima
dal catino del tempo
questo è un gioco si sa
bisogna comprenderlo fino in fondo
prima di togliersi di mezzo
Floriana Coppola vive a Napoli, dove insegna materie letterarie negli istituti statali superiori. Scrittrice, poeta e collagista, specializzata in Analisi Transazionale, perfezionata in Didattica e Cultura di genere e in Scrittura autobiografica, socia dell’Associazione Etica Pubblica e della Società Italiana delle Letterate, ha scritto racconti, romanzi e sillogi poetiche incentrate soprattutto sull’emersione dei problemi e dei linguaggi femminili. Nel 2004 ha pubblicato il romanzo Donna Creola e gli angeli del cortile, Guida Lettere Italiane e nel 2005 la silloge poetica Il trono dei Mirti, Melagrana onlus editore. Le è stato conferito nel 2009 il premio giornalistico e letterario “Marzani” organizzato dall’Associazione Campania Europa Mediterraneo. Nel 2010 ha pubblicato la silloge poetica Sono nata donna, Boopen LED/PHOTOCITY. Nel 2011 ha curato i primi due quaderni antologici di poesia “Alchimie e linguaggi di donne” Boopen Led/Photocity, nati all’interno del Festival di Filosofia, Letteratura e Poesia di Narni organizzato da Esther Basile e nello stesso anno l’antologia poetica con Ketti Martino “La poesia è una città” Boopen Led/Photocity. Nel 2012 ha pubblicato il romanzo “Vico Ultimo della Sorgente” edito da Homo Scrivens e la silloge poetica “Mancina nello sguardo” edito da La Vita Felice.
Nel 2013 scrive con Anna Laura Bobbi la silloge poetica “ MiticaFutura, itinierari nel mito di ieri e di oggi” Dalia Edizioni. Sempre nel 2013 partecipa all’antologia poetica “La percezione dell’invisibile” a cura di Giuseppe Vetromile.
I suoi testi poetici, anche premiati, i suoi racconti e i suoi collage di poesia verbovisuale sono in molte antologie letterarie e in cataloghi artistici.