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mandala

Creato il 22 agosto 2010 da Ivy

Renbrandt - Filosofo in meditazione

Dio geometrizza sempre. (Pitagora)

Perché nel post passato dove parlavo di ordine al posto del caso ho scelto il mandala come illustrazione? (così mi ha chiesto alex nel commento ”Ciao Ivy, mi racconti come hai scelto il mandala per il post? ‘Il caso non esiste’ (Oogway, a Shifu)”. Ma non so quasi nulla di filosofia orientale quindi rispondo quello che è per me, ma rilancio aspettando spiegazioni più esaustive. 

Il mandala è un immagine di “ciò che tiene assieme tutto” è un “centro” un disegno che mostra come tutto sia connesso con tutto e l’azione di uno degli elementi si rifletta su tutto l’insieme e su ciascun suo componente.

È un psicocosmogramma, cioè un simbolo, una forma (direbbe Platone) dell’ordine dell’universo a tutti i livelli quindi anche del microcosmo della nostra psiche (poiché noi non possiamo non comprendere se non quello che risponde a qualcosa di noi stessi). È uno stimolo a pensare che ci sia un ordine nel mondo, e quindi un senso, un movimento segreto, un piano invece che il caso.

Il simbolismo del mandala a me rappresenta una nozione di ‘universo totale che comprende tutti i mondi, tutte le possibili dimensioni, da quelle fisiche a quelle psichiche, nel suo disegno è racchiusa la la matrice, la forma perfetta del mondo nascosta dal guazzabuglio delle apparenze.

Nel mandala quindi è raffigurato il trionfo del Bene sul Male (dell’ordine sapiente del cosmo piuttosto di ciò che momentaneamente sembrano guai o catastrofi), perché se tutto è ordinato nella bellezza del mandala, allora anche il male serve all’ordine finale dell’universo. Ordine che è bellezza e di cui un mandala ne è il bagliore.

È una miniatura ideogrammatica, capace di spiegare il tutto del mondo nel suo spazio molto piccolo. Il mandala è un testo che si guarda, un insegnamento sotto forma di immagine. È come dicono certi versi latini: Littera gesta docet, quid credas allegoria, moralis quid agas, quo tendas anagogia. La lettera insegna i fatti, l’allegoria ciò che devi credere, la morale ciò che devi fare, l’anagogia dove devi tendere.

Le civiltà indù, buddista, quella cinese, quella giapponese lo usano perché grazie a ciò che allude facilita la contemplazione mentale, facendo entrare in regioni misteriose e profonde, favorendo le tappe intellettuali della comprensione; è un’idea direttrice, un pensiero su cui pensare.

Dal mandala, il meditativo adoperando la ragione, cerca di cogliere qualcosa che supera il suo livello di ragionevolezza. Ossia usa la sua allenata ragione come mezzo per cercare una ragione superiore, per vedere il mondo in una dimensione più grande della sua capacità intellettiva, di cui coglie l’esistenza.

È un mini oggetto con un simbolo concreto ma dai significati universali, molteplici, che permettono la comunicazione fra spiriti e culture diverse.

Non mi pare superstizione, nella superstizione si crede senza ragionare a nessi fra cose o avvenimenti che non esistono, è un credere rinunciando all’uso della ragione; ma qui anzi meditando grazie al mandala, non si fa altro che usare pensiero e ragione, cercando di comprendere i nessi del disegno cosmico. Il significato cosmico del mandala è di un universo che non è fuori dal nostro ma bensì all’interno, ne è la matrice la sua giusta forma.

Mostra l’ordine del mondo, un senso che lega il tutto, che a me sembra persino simile a quel Logos di cui parlavano Eraclito, Platone, Giovanni l’apostolo. Una teofania che sollecita la responsabilità di ognuno verso ognuno, perché se c’è un ordine buono e non il caso allora concetti come l’autodeterminazione (io decido per me e solo per me) si eclissano in favore di una più alta responsabilità e quindi di un più alto valore..

Non è un talismano, il disegno non rappresenta una formula, sarebbe superstizione usarlo così. Invece è un legame mentale e affettivo perché ciò che spinge a comprendere con il pensiero, comunque ti emoziona, non l’emozione che fa fremere i sensi, ma quella che scuote l’anima perché dice “ecco quello che ami”.


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