Povero Letta: non ha fatto in tempo a godersi lo spot gentilmente concesso nientepopodimeno che da Barak Obama, dopo il travaglio per partorire un’inconcludente Legge di stabilità, che subito gli sono scoppiati i casini in casa. Contemporaneamente si sono aperte crepe nel fu terzo polo, con Monti che si è dimesso da Scelta Civica, denunciando oscure manovre dell’asse Mauro-Casini nella prospettiva di una reunion col Pdl, ancora ben lontano dall’essere deberlusconizzato e, dall’altra parte, il Vice Ministro dell’economia Fassina che ha annunciato le proprie dimissioni per essere stato ignorato da Saccomanni nella stesura della manovra. Fassina ha ottenuto subito l’appoggio del segretario del Pd Epifani e questo fa pensare che le ventilate dimissioni non siano altro che un segnale di fumo della sinistra del Pd al premier.
Le fibrillazioni che attraversano tutta la maggioranza, platealmente esplose all’indomani della presentazione della Legge di stabilità, in attesa di un passaggio parlamentare che si preannuncia infuocato, mettono a rischio la tenuta del governo Letta. Il primo semestre di vita dell’esecutivo è stato a dir poco deludente, segnato dall’incapacità, per ovvie ragioni, di avviare un reale processo di cambiamento nelle questioni inerenti al controllo della spesa pubblica e al rilancio economico, come dimostra la manovra al centro del dibattito attuale. A questo si aggiungono figure barbine in tema di diritti, come il pasticciaccio Kazako e la gestione delle drammatiche conseguenze del naufragio di Lampedusa, e in tema di finanze, come la porcata dell’operazione Imu e i conseguenti aumento dell’Iva e introduzione della nuova imposta matrioska Trise. Dalla sua parte, Letta può vantare unicamente il savoir faire nei rapporti con i maggiori leader internazionali. Ma una volta che il Parlamento avrà varato alla meno peggio la Legge di stabilità e messo in sicurezza i conti pubblici, la buona immagine internazionale non basterà da sola a garantire al premier la stabilità necessaria.
Se Letta rimarrà in sella, in buona parte sarà dovuto alla mancanza di alternative parlamentari. Il ricorso alle urne, perdurando l’attuale situazione di estrema incertezza, rappresenterebbe un salto nel buio che solo i falchi berlusconiani potrebbero avere la sfrontatezza di causare. La concomitanza degli affondi di due politici lontani tra loro come il giorno e la notte, Fassina e Monti, potrebbe far pensare che tra sinistra Pd e montiani siano in atto contatti per trovare una via d’uscita parlamentare all’immobilismo dell’attuale esecutivo; immobilismo che si sarebbe dovuto sciogliere con la sconfitta di Berlusconi di due settimane fa e invece si è paradossalmente irrigidito. Come ho più volte scritto in questo blog, l’unico in grado di trovare una maggioranza in Parlamento e di imboccare una politica di cambiamento è, a mio parere, Fabrizio Barca