Nel quarto bellissimo romanzo di fantascienza di Douglas Adams (“trilogia in cinque parti” della Guida galattica per autostoppisti) i delfini abbandonano la Terra poco prima che questa venga demolita per costruire una superstrada spaziale e lasciano il laconico messaggio “Addio e grazie per tutto il pesce” (naturalmente gli esseri umani non comprendono né il messaggio, né il pericolo incombente).
Ed è questo che ci sarebbe da augurarsi accada nel mar Mediterraneo: che pesci, delfini, balene ed ogni sorta di animale marino trasmigri su un altro pianeta, prima che le armi chimiche siriane vengano sottoposte ad “idrolisi”. Il rischio, invece, è che la fauna ittica, scompaia si, ma per l’inquinamento conseguente alle operazioni di “messa in sicurezza” dell’arsenale bellico.
Che cosa c’è infatti da aspettarsi dalla procedura di distruzione delle armi chimiche siriane? Buona parte delle persone mediamente informate penseranno trattarsi di cosa lodevole, sia perché quelle armi non faranno più danni alle popolazioni della Siria, sia perché con tale operazione si è scongiurato un allargamento della crisi mediorientale che poteva degenerare in un conflitto su larga scala.
Tuttavia, scavando soltanto leggermente sotto le informazioni standard e spesso “silenziate” che i Media sono soliti fornire, si scoprono problematiche e sviluppi a dir poco agghiaccianti.
Le armi chimiche provenienti dalla Siria saranno trattate attraverso il procedimento di idrolisi e poi affondate tra Malta, Grecia e Italia. Prima, però, verranno stoccate in Calabria. Inizialmente iprite, gas mostarda ed altri componenti altamente letali, avrebbero dovuto essere inviati in Albania per la neutralizzazione, ma la popolazione di quel paese si è rivoltata contro la decisione del Governo di Tirana che è stato costretto a declinare l’offerta. Un’offerta che comportava un rischio altissimo, ma che sicuramente sarebbe stata premiata dagli Stati Uniti con un discreto finanziamento. A differenza degli albanesi – che in questo caso hanno rivelato uno spirito civico più alto ed una maggiore autocoscienza (quasi fossero i delfini di Adams) – gli italiani non hanno fatto in tempo a protestare o forse non hanno compreso il problema, così il Governo ha accettato, raccogliendo probabilmente (ma di questo non si parla) anche il “premio” economico per uno stoccaggio temporaneo di tale arsenale proibito dalle convenzioni, nazionali, internazionali e dal buon senso universale.
C’è da chiedersi, tra l’altro, se il popolo italiano fosse a conoscenza della Convenzione di Aarhus (ratificata in Italia con legge 108 nel 2001) che, sulla carta, dovrebbe consentire alle popolazioni interessate di arrestare questa pericolosa manovra. Evidentemente gli albanesi sono più informati di noi.
Secondo alcuni esperti greci del Centro Nazionale di Ricerca Scientifica di Atene e del Politecnico di Creta «se una tale neutralizzazione delle armi chimiche verrà effettuata tramite il processo di idrolisi, si può parlare di uno scenario da incubo. Si tratta di un metodo estremamente pericoloso con conseguenze imprevedibili per l’ambiente mediterraneo e i popoli vicini.
Il procedimento di annichilimento delle armi chimiche siriane potrebbe condurre alla necrosi completa l’ambiente interessato e all’inquinamento finale del Mediterraneo. Il pesce sarà avvelenato dalla contaminazione e ugualmente la popolazione che lo consumerà. Queste sostanze chimiche sono miscele di sostanze pericolose e tossiche, che non sono in grado di essere inattivate in modo da non causare danni agli organismi viventi solo con questo metodo».
Gli studiosi ellenici sostengono che «l’arsenale chimico della Siria consiste di due parti. Esistono 1.250 tonnellate di armamenti “principali” come i gas sarin e i gas mostarda ed altre 1.230 tonnellate di sostanze “precursori” che sono utilizzate per la fabbricazione delle armi vere e proprie. Queste sostanze, principalmente composti chimici di cloro e fluoro, sono di per sé altamente velenose e tossiche. E poi esiste una gamma di altri prodotti acquistati dalla Siria dopo l’embargo che sono sia di provenienza, sia di natura, ignoti. Anche prendendo per buone le 1.500 tonnellate ufficialmente dichiarate, non è credibile che tutto possa essere concluso in soli tre mesi. Ci vorrà probabilmente il triplo di questo tempo, sempre che non succedano degli spiacevoli imprevisti».
L’idrolisi di tutto questo quantitativo pericoloso produrrà una terza componente tossica che sarà formata direttamente nelle acque marine. Perché l’idrolisi non è un processo sicuro in quanto produce anche degli scarti in forma liquida.
Ci sono molti precedenti in materia, uno su tutti quello accaduto alla fine della Seconda guerra mondiale: gli Alleati, in palese violazione della Convenzione di Ginevra, affondarono nel Mare Adriatico, nella acque territoriali della Puglia, su bassi fondali, e nel golfo di Napoli, nonché nei pressi dell’isola di Ischia, migliaia di bombe caricate con aggressivi chimici (iprite e fosforo).
Potete vederne gli effetti nel documento filmato – rielaborato da Luogocomune – allegato a questo articolo, relativo all’inquinamento da iprite nel porto di Bari (in particolare a partire dal minuto 8.40 in poi). Nell’immagine in evidenza (Reuters/Contrasto) c’è la foto della nave danese Ark futura, una delle due imbarcazioni che si occuperanno del trasporto delle armi chimiche siriane che transiteranno nel porto calabrese di Gioia Tauro, venendo da lì trasferite sulla Cape Ray, un cargo civile dell’amministrazione statunitense sul quale sono stati montati due impianti per l’idrolisi, il processo chimico che dovrebbe rendere i gas inerti. Si tratta di macchinari complessi, ma che finora sono stati usati solo a terra: a tutti gli effetti, quindi, un esperimento senza precedenti: gli scenari che si aprirebbero, in caso di fallimento, non li possiamo lontanamente immaginare.
E non ci resterebbe nemmeno la magra consolazione di poter dire “Addio e grazie per tutto il pesce” .