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Mangiando sano facciamo bene all’ambiente

Creato il 04 novembre 2011 da Amandacastello2010

Mangiando sano facciamo bene all’ambiente

La nostra salute e quella del pianeta sono in stretta sintonia.

E’ un argomento di cui abbiamo già parlato, ma credo no se ne parli ancora a sufficienza. Certo è che la coscienza collettiva e sociale, negli ultimi anni, si sta muovendo in questa direzione, l’attenzione verso queste tematiche aumenta e sono molti gli studi che ci confermano che mangiando sano facciamo bene all’ambiente, soprattutto se scegliamo cibi che hanno un basso impatto ambientale.

Molti di noi sono cresciuti al ritmo di omogeneizzati, in una società dove la carne è sempre stata ritenuta un alimento insostituibile ed indispensabile per un corretto sviluppo ed un buon mantenimento.

Nell’approfondire questi argomenti ho trovato un articolo molto interessante sul sito della Società Scientifica della Nutrizione Vegetariana che vorrei condividere con voi.
Si tratta di uno scritto del dr. Massimo Tettamanti, chimico ambientale, che fa riflettere sull’impatto ambientale che gli allevamenti hanno sull’ambiente: consumo di acqua, di energia, di risorse vegetali, smaltimento delle deiezioni, ecc… aspetti spesso sconosciuti che fanno parte del meccanismo del “ciclo della carne”.

Mangiando sano facciamo bene all’ambiente

L’uso di prodotti chimici

L’abuso di prodotti chimici per l’agricoltura nei paesi più “sviluppati” è evidente dai dati statistici: in Germania, Giappone, Gran Bretagna, se ne usano più di 300 kg per ettaro, in Italia 104, mentre i consumi scendono a 35 in Cina, a 22 in Messico, a 7 in Bangladesh e a 1 in Nigeria.

I prodotti chimici comprendono fertilizzanti, pesticidi (che uccidono gli insetti nocivi per le colture) ed erbicidi (che uccidono le piante nocive): tutti inquinano il suolo, l’acqua e il cibo stesso. Dal 1945 ad oggi il consumo di pesticidi è decuplicato, mentre i danni provocati dagli insetti alle colture è  raddoppiato.

Non si tratta però di un problema legato all’agricoltura in sè e per sè, ma all’agricoltura finalizzata all’allevamento di animali: per quanto riguarda gli erbicidi, ad esempio, è indicativo il fatto che l’80% di quelli usati negli USA viene utilizzato nei campi di mais e di soia destinati all’alimentazione degli animali.

Il massiccio uso di fertilizzanti è dovuto soprattutto alla pratica della monocoltura, che risulta conveniente in quanto consente una industrializzazione spinta: vengono standardizzate le tipologie di intervento, i macchinari agricoli, le competenze e i tempi di lavoro. Se anzichè alla monocoltura i suoli fossero destinati a coltivazioni a rotazione per uso diretto umano, non sarebbero necessari prodotti chimici, perchè il suolo rimarrebbe fertile.

Il consumo di energia e risorse vegetali

Nel trasformare vegetali in proteine animali, un’ingente quantità delle proteine e dell’energia contenute nei vegetali viene sprecata: il cibo serve infatti a sostenere il metabolismo degli animali allevati, ed inoltre vanno considerati i tessuti non commestibili come ossa, cartilagini e frattaglie, e le feci.

Esiste il cosiddetto “indice di conversione”, che misura la quantità di cibo necessaria a far crescere di 1 kg l’animale. Ad un vitello servono 13 kg di mangime per aumentare di 1 kg, mentre ne servono 11 a un vitellone (un bue giovane) e 24 ad un agnello. I polli richiedono invece solo 3 kg di cibo per ogni kg di peso corporeo. Se si considera poi che l’animale non è  tutta carne, ma vi sono anche gli “scarti”, queste quantità vanno raddoppiate.

Il consumo d’acqua

Il 70% dell’acqua utilizzata sul pianeta è consumato dalla zootecnia e dall’agricoltura (i cui prodotti servono per la maggior parte a nutrire gli animali d’allevamento). Quasi la metà dell’acqua consumata negli Stati Uniti è destinata alle coltivazioni di alimenti per il bestiame.

Gli allevamenti consumano una quantità d’acqua molto maggiore di quella necessaria per coltivare soia, cereali, o verdure per il consumo diretto umano. Dobbiamo sommare, infatti, l’acqua impiegata nelle coltivazioni, che avvengono in gran parte su terre irrigate, l’acqua necessaria ad abbeverare gli animali e l’acqua per pulire le stalle.

Una vacca da latte beve 200 litri di acqua al giorno, 50 litri un bovino o un cavallo, 20 litri un maiale e circa 10 una pecora.

Il settimanale Newsweek ha calcolato che per produrre soli cinque chili di carne bovina serve tanta acqua quanta ne consuma una famiglia media in un anno.

Le deiezioni

In Italia gli animali da allevamento producono annualmente circa 19 milioni di tonnellate di deiezioni a scarso contenuto organico, che non possono essere usate come fertilizzante. Attualmente, lo smaltimento di questi liquami avviene per spandimento sul terreno, il che provoca un grave problema di inquinamento da sostanze azotate, che causa inquinamento nelle falde acquifere, nei corsi d’acqua di superficie, nonchè eutrofizzazione nei mari.

Anche i farmaci somministrati agli animali possono passare nell’ambiente con i reflui e residuare nei suoli, nei vegetali, nelle acque e quindi negli alimenti di cui si ciba l’uomo, come le verdure o il pesce.

Calcolando il carico equivalente, ovvero trasformando il numero di animali in quello equivalente di popolazione umana che produrrebbe lo stesso livello di inquinamento da deiezioni, in totale, in Italia, gli animali equivalgono ad una popolazione aggiuntiva di 137 milioni di cittadini, cioè più del doppio del totale della popolazione.

Le ripercussioni sul clima

Le conseguenze più drammatiche del consumo di latte e carne si verificano nel Terzo Mondo: il disboscamento operato per far posto agli allevamenti di bovini destinati a fornire proteine animali all’Occidente ha distrutto in pochi anni milioni di ettari di foresta pluviale.

Ogni anno scompaiono 17 milioni di ettari di foreste tropicali. L’allevamento intensivo non ne è la sola causa, ma sicuramente gioca un ruolo primario: nella foresta Amazzonica l’88% dei terreni disboscati è stato adibito a pascolo e circa il 70 % delle zone disboscate del Costa Rica e del Panama sono state trasformate in pascoli. A partire dal 1960, in Brasile, Bolivia, Colombia, America Centrale sono stati bruciati o rasi al suolo decine di milioni di ettari di foresta, oltre un quarto dell’intera estensione delle foreste centroamericane, per far posto a pascoli per bovini. Per dare un’idea delle dimensioni del problema, si pensi che ogni hamburger importato dall’America Centrale comporta l’abbattimento e la trasformazione a pascolo di sei metri quadrati di foresta.

Paradossalmente, questa terra non è affatto adatta al pascolo: nell’ecosistema tropicale lo strato superficiale del suolo contiene poco nutrimento, ed è molto sottile e fragile. Dopo pochi anni di pascolo il suolo diventa sterile, e gli allevatori passano ad abbattere un’altra regione di foresta. Gli alberi abbattuti non vengono commercializzati, risulta più conveniente bruciarli sul posto.

La geografa Susanna Hecht racconta che il 90% degli allevamenti di bestiame nella ex-foresta amazzonica cessa l’attività dopo circa otto anni, per ricominciare in altre zone. Si possono percorrere centinaia di chilometri di strada nella foresta amazzonica senza trovare altro che terre abbandonate dove cresce una vegetazione secondaria.

Nelle zone semiaride, come l’Africa, lo sfruttamento dei suoli per l’allevamento estensivo (i cui prodotti vengono esportati nei paesi ricchi) porta alla desertificazione, cioè alla riduzione a zero della produttività di queste terre. Le Nazioni Unite stimano che il 70% dei terreni ora adibiti a pascolo siano in via di desertificazione.

Anche alcune parti delle Grandi Pianure del “West” americano si stanno trasformando in deserto. Ampi fiumi sono diventati ruscelli o si sono prosciugati del tutto lasciando spazio a distese di fango. Dove prima vi erano vegetazione ed animali selvatici di ogni specie, oggi non cresce più nulla e non vi è più vita animale. L’allevamento estensivo di bovini è stato, e continua a essere, la causa di tutto questo.

 

Sul tema, particolarmente interessante è il libro Mangiar Sano e Naturale con Alimenti Vegetali Integrali di Michele Riefoli. La pubblicazione può essere definita una vera e propria guida, capace di rispondere alle domande più importanti su cibo, salute ed ecologia. Con un taglio educativo-scientifico e un linguaggio comprensibile da tutti, Michele Riefoli traccia un percorso di consapevolezza alimentare in grado di migliorare il nostro stato di salute e benessere e, al tempo stesso, di diminuire l’impatto ambientale del nostro stile di vita.

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Michele Riefoli

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