Ieri ero seduto al mio scrittoio, che non è affatto uno scrittoio ma una mensola che fa finta di essere scrittoio solo perché c’è un pc sopra e ci si possono mettere le gambe sotto, e me lo ricordo benissimo che era ieri perché era una domenica pomeriggio di quelle che a descriverle potrebbero nascere ottimi incipit di libri. Una volta non si diceva forse “era una notte buia e tempestosa”, no? Che può essere l’equivalente di “era una domenica pomeriggio grigia e piovigginosa”. Ma il dato importante è che era uno di quei rari momenti in cui non ho proprio un tubo da fare né a cui pensare, con la moglie fuori casa per un impegno, mia figlia occupata a diventare preadolescente con la amiche del cuore in cameretta, nessuna faccenda da sbrigare in casa. Quindi io con il mio scrittoio sopra le ginocchia che non devo nemmeno da scrivere un resoconto di qualcosa per i miei amichetti del web. Niente di niente, l’ozio allo stato puro tanto che mi dedicavo a un’attività che nemmeno mio papà che ha ottantatrè anni farebbe, che era trasferire manualmente il contenuto di circa duecentocinquanta tra cd e dvd pieni di musica in un hard disk da millemila terabyte che mi ha consentito di fare piazza pulita di tutta la plasticaccia tarocca e contraffatta che si affacciava su un’intera sezione della libreria in salotto. E mentre mi beavo di questa inattività olistica mi sono ricordato di quei mal di stomaco che ti prendono la domenica pomeriggio perché devi ancora finire di studiare e il giorno dopo ti interrogano, hai un compito in classe, una verifica, un esame. Cioè quel nastro trasportatore di angosce in funzione ventiquattro per sette che è l’essere uno studente. Senza pause. Senza momenti di stasi. Tutto un unico percorso che si dice che non si concluda mai – sapete quella storia degli esami e bla bla bla – che però non è vero, perché arriva un giorno e il tutto si conclude con una stretta di mano con il rettore, magari una lode, uno scampanellio, e poi basta. Subentrano altre complessità, ma l’esistenza si libera di quel genere di scadenze. Ecco, amici studenti, ieri ho pensato che non vi invidio proprio per un cazzo.
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