di Grazia Nonis. Avrei preferito spiegare il significato delle tre "T" di Cremona: Turùn, Turàs e Tetàs, e non quello che è accaduto sabato in occasione della manifestazione antifascista: lancio di sassi e bottiglie, vetrine sfasciate, muri imbrattati e guerriglia urbana. Non è di questo solo corteo che dovremmo sdegnarci, ma di tutti quelli che mettono a ferro e fuoco le nostre città, provocando Disordini, Disastri e Distruzione. Le tre "D", simbolo di ordinaria delinquenza. “Dove passa Attila non cresce più l’erba”:
questo il famosissimo detto associato al re degli Unni, probabile antenato dei nostri black block, dei nuovi blu block o degli idioti in stile mummia che s’infiltrano nei vari cortei senza conoscere il motivo della protesta. Cambia il periodo storico e l’abbigliamento, ma gli imbecilli no. Così, quando li vedo manifestare col viso coperto da caschi o da passamontagna, ho l’ardente desiderio d’abbassarmi al loro già infimo livello e accarezzagli il cranio con una scarpa chiodata, venendo meno, ahimè o finalmente, alle mie regole morali. Guardo i Tg che trasmettono immagini e filmati che li ritraggono mentre incendiano auto, lanciano sassi o prendono a randellate le vetrine dei negozi, e mi monta la rabbia! Cominciano a prudermi le mani e un desiderio di rivalsa fa toc toc nella mie mente, accompagnato dal famoso occhio per occhio e dente per dente. Immagino di potermi trasformare in una sorta di giustiziere: acchiapparli per le orecchie e trascinarli a casa loro pigliandoli a pedate nel sedere. Mi vedo abbattere la porta della loro abitazione a colpi d’estintore e, pronti via, annientargli la casa: quattro mattoni contro la finestra, sbrindellamento del sofà, lancio di piatti e mobili dal balcone, distacco dei lampadari in stile liana di Tarzan e, per finire, il tocco dell’artista graffitaro con tanto di sprayata di vernice indelebile su muri e soffitti. Un bel “tiè” col gesto dell’ombrello a giustificare un’azione da barbaro a barbaro. La mia mente fantastica su questa appetitosa punizione che per un attimo mi fa regredire allo stato preistorico, dimenticando il metodo Montessori, le buone maniere e le regole del buon cristiano. M’hanno insegnato che non si deve scendere al livello degli ignoranti o dei delinquenti perché questi non capirebbero. Però, la vita insegna il contrario e per farsi capire, a volte, bisogna parlare più lingue e più dialetti. Tra questi, forse, il migliore è quello dei gesti. Purtroppo. Troppi fancazzisti che non sanno cosa fare della propria vita e fingono d’interessarsi a quella degli altri, mentre vogliono solo sfogare la rabbia repressa di fallimenti personali o semplicemente per quella noia che troppo spesso la fa da padrone nelle loro insulse vite. La nostra giustizia non giusta, a braccetto col buonismo idiota, non punisce quanto dovrebbe provocando esasperazione in persone normalmente miti e rispettose delle regole, ma che si vedono calpestate due volte: prima dai delinquenti e poi dalle istituzioni. Poca polizia ad arginare questi idioti che abilmente s’intrufolano in manifestazioni fatte da persone perbene che vogliono dire la loro pacificamente, e di cui nessuno poi ricorda il motivo della protesta perché appannata dai disordini e dagli scempi di chi, con loro, non ha nulla da spartire. Il poliziotto che qualche mese fa usò violenza contro una manifestante sarà punito: quello immortalato con uno scarpone piantato sul ventre di una manifestante a terra. Ma per quanto siamo rapidi ad individuare e punire gli errori di chi dovrebbe mantenere l’ordine, com’è giusto che sia, siamo troppo lenti e lassisti nel colpire i vigliacchi da guerriglia urbana. Gentaglia che si sente protetta dalle nostre leggi e che continua imperterrita la sua folle guerra di distruzione, sapendo di poterla sfangare sempre e comunque.