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Manuale di sopravvivenza dell’attore non protagonista di Ninni Bruschetta

Creato il 10 marzo 2016 da Taxi Drivers @TaxiDriversRoma
Manuale di sopravvivenza dell’attore non protagonista

L’incontro con l’altro come alternativa culturale ed espressiva praticabile.

L’attore cine-televisivo e regista teatrale Ninni Bruschetta propone nel suo nuovo libro Manuale di sopravvivenza dell’attore non protagonista (Fazi, Roma 2016) alcune suggestioni culturali, partendo dalla riflessione sul proprio lavoro attoriale.

Riteniamo che il testo abbia una sua forza simbolica, che prescinda dai temi letterali della figura professionale dell’attore non protagonista e di certe condizioni produttive dell’industria dello spettacolo italiano.

Il topos dell’“attore non protagonista”, destinato per vocazione a uno spazio marginale di esposizione in una professione esibizionistica e performativa, e deciso non snobisticamente ad affrontare con il suo carico di professionalità i territori spesso disagevoli della fiction televisiva, ci pare un simbolo intenso, utile e “contemporaneo”, che si può mettere a fuoco in varie prospettive di lettura: quella ad es. psicologico-esistenziale (la mancanza di un centro di gravità e di orientamento della soggettività rigidamente focalizzato su una personalità “dominante” e “accentratrice”, la promiscuità continua dei contatti e delle esperienze con un ambiente concreto che ci cambia e nel quale ha senso promuovere i nostri investimenti simbolici e materiali nella quotidianità), quella sociologica (l’anti-narcisismo e la constatazione della precarietà del nostro rapporto con l’ambiente comunitario concepiti come risorse “realistiche” contro i pericoli degli idoli dell’individualismo e della concorrenza spietata sulla scena sociale), quella culturale (il bisogno diffuso di rifiutare un vecchio e non più sostenibile ordine “reverenziale” ed “elitistico” della cultura espressiva italiana, mettendosi creativamente in gioco, se si fa parte dell’industria culturale, con le risorse linguistico-espressive ed eventualmente i media più “popolari”, piuttosto che snobbarli e consegnarli in pasto alle derive reazionarie di una fattuale politica culturale populistica e atrofizzata).

Quest’ultima riteniamo sia la dimensione del simbolo più democratica ed emancipatrice, se non altro al livello, non marginale, della cultura espressiva nazionale.

Ci pare poi la dimensione simbolica connessa maggiormente a un’esperienza creativa e produttiva come quella di Boris, commentata in termini esplicitamente anti-elitistici e nazional-popolari all’interno del libro, alla quale l’autore partecipò nelle vesti consuete di attore non protagonista: una serie cine-televisiva che a nostro avviso si proponeva di decostruire e demistificare la scena culturale più “simulacrale”, e al tempo stesso alienante e derealizzante, dell’Italia televisiva e berlusconiana coeva, ma sdoganando la complessità e la sofisticatezza dei propri risvolti concettuali attraverso il ricorso a tutto un armamentario di forme per l’appunto nazional-popolari, icastiche e largamente fruibili attinte dai grandi bacini della “commedia” e del “carnascialesco” (maschere comiche dotate di verve popolaresca, tipizzazione delle soggettività rappresentate, riconoscibilità tangibile del referente sociale e delle sue intime tensioni conflittuali etc.), ed efficacemente coniugate al simbolo del set cine-televisivo della diegesi quale laboratorio paradigmatico delle produzioni culturali e dei discorsi sociali più ossessivi della cultura reazionaria italiana di quegli anni.

In questa prospettiva, il libro autobiografico di Bruschetta finisce per restituire, nella sua totalità, stimoli critici utili per inquadrare alcuni risvolti pragmatici della novità estetico-culturale della serie sceneggiata da Giacomo Ciarrapico, Mattia Torre e Luca Vendruscolo, e in particolar modo la portata significante del suo successo trasversale di pubblico: ad essere storicamente premiata dal pubblico di Boris, e ora promossa dall’autore di Manuale di sopravvivenza dell’attore non protagonista, sembra un’alternativa creativa al populismo mediatico di tanta TV generalista italiana e al suo appiattimento dei linguaggi della cultura espressiva, che non si risolva nell’eccesso opposto del rifiuto snobistico della matrice più genuinamente popolare, partecipativa ed emancipatrice di quegli stessi linguaggi della comune cultura espressiva; una “democrazia” di forme e discorsi estetici e concettuali, laddove il gesto performativo del singolo artista e attore culturale dovrebbe tentare di non soffocare, in un eccesso di protagonismo, la propria “base” vitale.

Francesco Di Benedetto



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