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Come al solito Cronenberg non vuole spiegare, non vuole darci un punto di vista da condividere né tanto meno vuole criticare: ancora una volta il canadese utilizza la telecamera come fosse uno strumento di verità, come se riesca a catturare in ogni movimento un pezzo della realtà che ci circonda. Così entriamo in empatia con Mia Wasikowska e il suo personaggio, una ragazza che ha commesso degli sbagli in passato e che vuole fare ammenda, vuole andare dalla sua famiglia e spiegare le motivazioni del suo gesto, cercando di ragionare assieme a loro, di parlare: niente da fare, il padre la caccia di casa, le dà dei soldi per andarsene e, nonostante la madre sia un pochino più disponibile al dialogo, neanche lei riesce a fare nulla per sistemare la situazione. Grottesco e crudo, questo prodotto ci mette di fronte alla crudeltà delle persone, facendo un passo indietro rispetto a Cosmopolis (anche cronologicamente, come se il precedente film fosse ambientato in un futuro molto più distopico e asettico), mostrando una realtà più vicina alla nostra dove le persone gioiscono dei lutti degli altri, immersi in un egoismo sfrenato e orripilante, a volte nervoso come quello della mamma della Wasikowska, con il suo compulsivo fumare, a volte calmo e pacato come quello del papà e della sua sigaretta elettronica, altre volte ossessivo come quello di Julianne Moore, mai così brava, ma anche infantile, ingenuo e forse il più sconvolgente come quello di Evan Birds, un po' specchio di una madre eccessivamente ambiziosa e un po' riflesso di una società di adolescenti sempre più interessati a loro stessi e al loro successo personale, ma mai totalmente irrecuperabili. Nonostante un paio di cadute di stile e qualche sviluppo frettoloso nella sceneggiatura ad opera di Bruce Wagner, il risultato finale è quello a cui Cronenberg ci ha sempre abituati: noi stessi, il nostro mondo e null'altro; uno spaccato malvagio, crudo, tenebroso, freddo, insensibile e pericolosamente vero.
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