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Maps To The Stars, Cronenberg e lo studio della natura umana

Creato il 26 maggio 2014 da Postscriptum

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Nel suo ultimo lungometraggio David Cronenberg continua il suo viaggio nell’universo della natura umana popolato da follie, idiosincrasie ed emozioni di ogni tipo: una zona misteriosa in cui è facile perdersi, come spesso succede ai personaggi delle storie del regista pioniere del body horror.

Maps To The Stars è un titolo emblematico per una storia che si svolge nel sud della California, in un cittadina dove incontrare una stella del cinema è facile come prendere un cappuccino al bar, da qui la necessità di avere una mappa per barcamenarsi tra le vie dello shopping e i ristoranti più rinomati; allo stesso tempo però, per trattare con le star e capirne le paturnie, è necessario avere una sorta di libretto di itruzioni, una cartina per non perdersi tra capricci, comportamenti alienati e alienanti.

Cronenberg dipinge la storia con colori freddissimi e non è un puro caso se guardando una pellicola ambientata in una delle zone più calde del mondo praticamente non si percepisce calore, non viene mai da dire “che bel posto voglio andarci in vacanza”. Questo perchè di calore, inteso come condizione atmosferica e come sentimento umano, non ce n’è nemmeno una goccia.

C’è una famiglia bene in vista, i Weiss. Il padre (John Cusack) è uno scrittore di grido nel campo dell’empowerment, vale a dire quelle menate tipicamente americane di credere in se stessi e attraverso dei metodi curiosi raggiungere la perfezione; la madre (Olivia Williams) gestisce la carriera dell’enfant prodige Benjie (il secondo figlio) stellina del cinema per ragazzi ma insopportabile in maniera anche offensiva. Ci sarebbe anche la figlia Agatha (Mia Wasikowska) che è stata internata in un istituto di correzione mentale, in seguito ad eventi passati che non sto qui a spoilerarvi, ed è stata allontanata dai genitori.
Ma Agatha torna e, fatta amicizia con l’autista/attore/sceneggiatore Jerome (il sempre meno espressivo Robert Pattinson) riesce a trovare lavoro quasi subito come assistente personale della complessata e psicotica Havana Segrand (una bellissima e bravissima Julianne Moore), attrice a fine carriera ossessionata dal ricordo della madre.

Manco a dirlo, il ritorno di Agatha manda i Weiss in confusione e mette lo spettatore di fronte ad una scelta: patteggiare per la ragazza o per la sua famiglia. Impossibile scegliere.

Il film mostra quanto sia labile il velo che separa la sanità mentale dalla pazzia creata dai propri demoni personali: ci troviamo di fronte ad una storia negativa con personaggi negativi che rigettano sugli altri le proprie mancanze. Lo stronzetto Benjie, tutto fama e sproloquio, è in realà un ragazzino con gravi problemi cosi come entrambi i suoi genitori, completamente dissociati dalla realtà e assorbiti da una serie di meccaniche abitudinarie per tenere a bada i propri turpi ricordi. Havana, dal canto suo, riesce a rappresentare perfettamente il prototipo dell’attrice ormai sul viale del tramonto che non si rassegna alla sua mediocrità ma, anzi, la trasforma in cattiveria nei confronti di chi la circonda. Si sente una vittima, e lo è sicuramente: di se stessa però. La stessa Agatha non è completamente presente a se stessa.
E’ particolarmente interessante, infine, vedere come un professionista del controllo come Weiss non riesca a controllare una situazione generata dalla propria superficialità e soprattutto quanto sia deleterio continuare (permettetemi la metafora) a nascondere la spazzatura sotto il tappeto con il rischio che esso un giorno assomigli all’Everest.

In ultima analisi credo che Maps To The Stars sia un film perfetto per tentare di rappresentare la nostra natura complessa, formata da vari strati di follia disposti l’uno sull’altro in ordine di gravità, dissociante nei confronti di una realtà complicata da accettare che spesso alteriamo nella nostra mentre senza rendercene conto e ancor meno riusciamo a ricordare dove finisce il vero ed inizia la nostra folle immaginazione.

P.S. Prima che il film finisca vi resterà in testa una poesia che Agatha ripete ossessivamente. Si tratta di Libertè, composta dal poeta surrealista francese Paul Eluard nel 1942 mentre scappava dalla Francia occupata dai nazisti. Ve ne riporto una piccola parte.

Sui miei quaderni di scolaro
Sui miei banchi e sugli alberi
Sulla sabbia e sulla neve
Io scrivo il tuo nome

Su ogni carne consentita
Sulla fronte dei miei amici
Su ogni mano che si tende
Io scrivo il tuo nome

E per la forza di una parola
Io ricomincio la mia vita
Sono nato per conoscerti
Per nominarti
Libertà.

Paul Eluard


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