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Per una strana ironia della storia, le due peggiori potenze coloniali (Italia e Portogallo) hanno lasciato in eredità le due più belle capitali dell'Africa subsahariana: Asmara e Maputo. In entrambi i casi si respira un'aria di passato, velato da una ben evidente decadenza.
Maputo è una città costituita di grandi arterie piene di alberi che le danno colore e ombra. Ogni tanto, da qualche angolo di strada, sbuca un piccolo miracolo di architettura, quasi sempre un edificio in stile Bauhaus di inizio secolo. Entrare in un ufficio pubblico è un'esperienza in sé: i muri scrostati, i cortili interni, i poster alle pareti, tutto sembra essere stato messo lì da un bravo scenografo nella preparazione di un film d'epoca. Ci si aspetta da un momento all'altro di vedere spuntare la figura austera e un po' triste di Salazar, il dittatore senza carisma, oppure una giovane Miriam Makeba che canta "A luta continua". A tratti si è spaesati e si crede di essere nella città vecchia della Havana.
Come ogni città di mare, Maputo si muove ad un ritmo tutto suo, come una specie di danza collettiva. La spiaggia è una lunghissima linea retta intramezzata di brutti edifici, immondizia e fognature. In un'acqua color marrone i bambini fanno un bagno piuttosto sporco, ma lo sfondo è perfetto per foto in bianco e nero di fotografi della povertà esotica.
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