intervista a cura di Mara Venuto
Si era sul finire del 2008 quando rilasciai questa intervista all’amica Mara. – g.i
1. Ci conosciamo da alcuni mesi ormai io e te, caro Beppe, tuttavia, sebbene abbia avuto modo di di cogliere diversi aspetti della tua personalità e della tua formazione culturale, sociale, politica leggendo prima il tuo Blog e ora “Morte all’alba”, mi piacerebbe che ti presentassi tu stesso, come preferisci, ai tuoi futuri lettori e a coloro che (e non sono tanti, in verità) ancora non ti conoscono.
La mia pagina personale nacque nei primi mesi del 2004. Già da un paio d’anni – parliamo dunque di un periodo che va dal 2002 al 2004 -, avevo dato vita a un primo multi-blog, King Lear Officina Avanguardie. Ho la presunzione di pensare che qualcuno ancora oggi ne abbia memoria: a quel tempo i blog non erano così invadenti come oggi, ce n’erano un numero ristretto e le piattaforme ospitanti non offrivano molti servizi. Si può forse dire che sono stato un pioniere in tal senso, perché per la prima volta ho portato la critica dalle pagine dei giornali cartacei in Rete attraverso un blog.
Nel 2000 i lit-blog erano pochissimi: i blogger che scrivevano di cultura erano considerati degli “alienati” o giù di lì, questo perché l’idea dominante era quella che un blog potesse servire soltanto a “fare diario”. Per avere una massiccia diffusione dei lit-blog o sédicenti tali bisognerà aspettare tempi più maturi e per non pochi versi immaturi: oggi che ci stiamo lasciando il 2008 alle spalle, quasi ogni giornalista e scrittore ha una sua pagina personale non statica, che dà la possibilità ai lettori di intervenire con dei commenti. Ieri era impensabile che uno scrittore, o un professionista dell’editoria, si sporcasse le mani in e con Internet: c’era poca fiducia nel mezzo, che era ritenuto inidoneo a promuovere cultura e critica. Oggi invece è impensabile che uno scrittore non abbia una “casa” anche in Rete: chi non ce l’ha si taglia le gambe da solo, perché si perde almeno un 50 % buono di potenziali lettori. King Lear Officina Avanguardie è ancora online, ma non viene più aggiornato: la sua naturale evoluzione è Jujol.com. La formula è la stessa del vecchio King Lear, sempre e solo collaboratori ben più che fidati, accordando loro la libertà di postare da sé articoli e segnalazioni; il sottoscritto ovviamente legge tutto quello che viene messo online, quindi è difficile se non impossibile che possa passare qualche contenuto cattivo. Niente marchette né marchettari: su Jujol.com l’idea principe è una e una sola, la diffusione della cultura, sia essa inquadrabile in un contesto di alta Letteratura, sia essa più a portata di mano (parliamo dunque di narrativa, di scrittori di genere).
Mi è sembrato giusto parlare, pur solo per pochi accenni, alla mia attività in Rete prima di dare qualche informazione più personale su chi è e chi non è Giuseppe Iannozzi. Amo tutto ciò che è, che fa cultura. La mia formazione è umanistica. Da dieci anni giornalista, porto avanti un discorso di rinnovamento critico in Rete e non, cercando di dar un poco di visibilità agli esordienti e a tutti quegli autori che solitamente l’intellighenzia italiana snobba. In questi anni credo d’aver offerto parecchie vetrine a tanti autori che altrimenti non sarebbero stati presi in considerazione: non so dire se ho contribuito a fare la loro “piccola” fortuna, ma sono convinto che in certi casi la mia critica sincera, lontana da interessi e bugie commerciali, abbia contribuito a fare di molti esordienti delle “piccole” voci di qualità. Il fatto che poi in molti mi abbiano pugnalato alle spalle una volta raggiunta un po’ di visibilità garantita, sinceramente non mi fa né caldo né freddo: era in preventivo sin dall’inizio.
“Morte all’alba” è qualcosa per me, non lo nego. Dopo aver dato per tanti anni, mi è sembrato giusto raccogliere alcuni di quelli che ritengo essere dei racconti meritevoli in un’antologia personale. Non mi sono affidato a un editore tradizionale, non ci ho nemmeno provato a presentare “Morte all’alba” a Tizio piuttosto che a Caio, quindi spero che i noiosi e gli invidiosi tacciano e la smettano di aprire la bocca per dire male di me e del perché non ho un editore tradizionale. La raccolta di racconti l’ho curata io e io ho scelto i racconti: nessuno ha fatto pressioni, nessuno ha avuto la possibilità di censurarne i contenuti o di stravolgerli a favore di immonde logiche editoriali.
Mara Venuto
2. “Morte all’ alba” raccoglie in forma antologica 29 racconti, tutti sorprendentemente diversi per stile, genere, contenuto. Sembra quasi che tu abbia sentito, da una parte, l’esigenza di accogliere e incontrare i gusti di varie tipologie di lettori; dall’altra quella di assecondare il tuo piacere e anche il tuo divertimento nel comporli, dall’altro ancora che tu abbia voluto dare corso ad un impulso spontaneo, sebbene vi sia in tutti i racconti molta ricercatezza che scaturisce dal tuo ingente bagaglio culturale di critico letterario e, immagino, appassionato lettore da sempre. Mi piacerebbe che ci raccontassi come ha avuto origine, da cosa e con quale finalità, se esiste, la tua ottima silloge.
Una delle priorità di questa raccolta era per l’appunto quella di offrire al lettore una vasta gamma di racconti, di genere e non, scritti secondo stili diversi, spaziando all’interno di temi variegati: ecco dunque il racconto d’amore, quello socio-politico, ma anche la ricerca spirituale, ed ancora un pizzico di sci-fi però di stampo umanistico, un po’ di horror plebeo, miscele avantpop ed erotiche, non dimenticando racconti prettamente bukowskiani e in stile beat (cioè della Beat Generation). In tutto 29 racconti, e posso dire, senza tema di peccare di presunzione, che ognuno di essi è unico per stile e per argomenti affrontati – a muso duro.
Io mi sono divertito e non poco mentre li mettevo nero su bianco. Uguale piacere ho provato quando ho dovuto fare la selezione delle storie che sono poi confluite sotto il titolo “Morte all’alba”.
E’ questo un atto, per certi versi, egoistico: la raccolta accoglie tanti racconti, ma non c’è un fil rouge che li leghi, se non in rarissimi casi, come per i racconti “Morte all’alba” e “Morte al crepuscolo”, “Reading”, “Cercava Dio” e “La morte del poeta”. Si può dire che se c’è uno spettro, o fantasma o angoscia esistenziale che su tutte le storie aleggia, esso è quello della Morte, alle volte improvvisa, altre ancora programmata ed ineluttabile. Anche i racconti più bukowskiani e beat non offrono possibilità di luce e di redenzione: i personaggi, tutti, sono degli sconfitti, dei borderlines, e in alcuni casi sono dei veri e propri maniaci pericolosi per sé stessi e per la società. Descrivo, attraverso questi personaggi al margine, una società collassata, che è quella attuale: perlomeno io non vedo in questo momento storico motivi di speranza, né vedo la possibilità di un futuro felice per i nostri figli.
Ogni racconto è una estrema sintesi, ciò significa che ci sono così tanti spunti che ognuno di essi è potenzialmente del buon materiale per costruirci su un romanzo. Non sono il frutto di un lavoro fatto in velocità: le storie che ho raccolto sono state pensate nell’arco di almeno tre anni, e tutte hanno richiesto un po’ tanto lavoro di cesello. Dei 29 racconti presenti in “Morte all’alba” solo uno, “Estasi”, è stato scritto di getto, nel giro di poco più di trenta minuti.
3. Una curiosità mi preme a proposito delle modalità e dei tempi della tua scrittura: so che leggi continuamente poiché una delle tue attività è quella di recensire libri per conto delle Case Editrici (a cui non risparmi feroci stroncature, senza alcun riguardo per nomi, mode o poteri forti); inoltre trascorri molto tempo ad informarti su ciò che avviene vicino e lontano da te per scriverne poi sul tuo blog, molto noto e seguito in rete. Oltre a ciò, componi versi appassionati che pubblichi abitualmente sul web e che di recente hai editato. Qual è perciò il rapporto fra la tua scrittura e il tempo? Ovvero quando, in quali momenti sei solito scrivere? Segui un impulso e vai di getto oppure ti imponi una disciplina e ti dedichi al lavoro ogni giorno, in modo metodico?
Non sono una persona metodica. Però quando scrivo preferisco farlo nelle ore crepuscolari, o al mattino o verso l’alba. Le poesie, se così si possono definire, le scrivo invece durante le ore notturne. I 49 racconti di Ernest Hemingway costituiscono per me una pietra miliare della Letteratura, non solo americana: sono una lezione di stile. Ben lontano dalla perfezione di Ernest, mi piace scrivere di primo mattino, quando ho tempo; se invece ho altre incombenze da sbrigare, possono passare anche dei giorni senza che scriva un racconto o altro. Tuttavia ciò non significa che la mia fantasia resti arenata in sé stessa: nella mia testa io scrivo sempre, invento, penso a contenuti e stili, immagino il racconto finito… poi quando ho tempo scrivo. Non di rado mi capita di scrivere con penna e carta alla mano: è ancora oggi la maniera che preferisco per dar corpo alle storie. Gli editor di testo non mi piacciono granché: sono dell’avviso che scrivere a video e scrivere con carta e penna siano due modi molto diversi di affrontare la scrittura, ne consegue che anche i risultati non potranno che essere nettamente diversi.
Le storie nascono dall’ispirazione, che non manca mai: la società è ricca di spunti, basta sapersi guardare intorno per avere sottomano qualche cosa che aspetta solo di esser fotografata. Mi guardo intorno, ascolto: non faccio niente più di questo.
4. “Morte all’alba”prende il nome dal racconto omonimo, mi chiedevo perché, fra i tanti, lo hai scelto per dare il nome alla raccolta. Deduco che abbia un significato particolare per te. Cosa hai voluto comunicare con questa scelta e con un titolo, se vogliamo, forte?
Come ho già spiegato, non c’è un vero e proprio fil rouge che lega i racconti; c’è però uno spettro che su tutti aleggia e che è quello della Morte. La scelta è caduta proprio su questa storia perché, a mio avviso, è una delle più significative della raccolta ed è anche quella dove la morte è presente sia in una dimensione corporale sia in quella spirituale. E’ un racconto-ossessione, scevro di qualsivoglia speranza, a tratti cinico. Si parla del dio Baal, in una proiezione in bilico fra realtà, leggenda e mondo onirico. E’ anche un disegno dell’uomo in chiave nicciana, non a caso F.W. Nietzsche è più volte citato nella trama: se è vero che il racconto è onirico, è altrettanto vero che è uno scavo psicologico profondo in quelle latebre umane – che spesse volte nella vita quotidiana noi tutti ignoriamo per tema di dover fare i conti con il lato oscuro che è presente in noi -, e che attraverso il subconscio ci stimolano day after day ad operare delle scelte o per il Bene o per il Male. Il racconto “Morte all’alba”: sono abbastanza presuntuoso d’immaginare che indirizzi il lettore senz’ombra di dubbio a che cosa andrà incontro leggendolo, niente di edulcorato, solo amare pastiglie.
5. Una delle battaglie che ti contraddistinguono, in campo editoriale, è quella in favore della buona scrittura. A tuo avviso, infatti, troppo spesso vengono pubblicati lavori di scarsa, se non scarsissima, qualità o comunque destinati a non lasciare alcuna traccia nel patrimonio culturale, nè contemporaneo nè futuro. Spesso ribadisci come la meritocrazia sia merce rara in Italia in tutti gli ambiti, tanto più in quello editoriale, dove si pubblica con editori noti per lo più per conoscenze e raccomandazioni, se non per vere e proprie “Marchette” (parole tue). Mi domando, a questo punto, se la tua scelta dell’ autopubblicazione, attraverso il noto portale “Lulu”, non sia conseguente alla volontà di non soggiacere a tali meccanismi. Cosa puoi dirci in proposito?
Quando si portano avanti delle battaglie in campo editoriale, il combattente, o l’illuso di turno, deve tener presente che in ogni caso, nonostante tutto il valore che saprà dimostrare in battaglia, sarà un combattere sempre e in ogni caso contro i mulini a vento. Credo non sia difficile rendersi conto che dico il vero: leggendo le pagine culturali dei giornali, tutti i libri vengono presentati come dei capolavori contemporanei, con la doppia “C” maiuscola. Di rado un libro viene stroncato e quando sì, si tende a dare la mazzata a un autore pubblicato da un editore (ritenuto) poco importante (che non pesa in maniera forte sul mercato). In Italia c’è il bruttissimo vizio del capolavorismo, ovvero di indicare ogni libro bello e di più. Ci sono poi tanti autori che sono intoccabili, nel senso che non possono essere criticati in maniera negativa: chi fosse tanto stupido da criticare in maniera negativa Antonio Moresco, ad esempio, inevitabilmente attirerebbe su di sé l’ira profonda di quanti si di dicono amici del signor Moresco.
In Italia la meritocrazia non esiste, e non solo in campo editoriale e artistico. Si va avanti a raccomandazioni, o per dirla in maniera più esplicita, chi vuole fare strada deve essere disposto a raccogliere marchette e a dar via il didietro senza pensarci su nemmeno un secondo. Se non si dà via il didietro, senza usare il profilattico per giunta, puoi essere anche Gesù Cristo ma in Italia strada non ne farai, non ti sarà concesso neanche di farti crocifiggere sul Golgota.
Come ho già accennato, non ci ho provato nemmeno a presentare il mio lavoro a un editore: il motivo è più che mai semplice, l’avrebbe o drasticamente tagliato (censurato) o mi avrebbe mandato a quel paese senza tanti convenevoli.
6. Sempre a proposito di self-publishing, oggi se ne fa un gran parlare: molti autori esordienti, giovani e non, ricorrono a tale strumento per editare i propri lavori e persino un illustre quotidiano nazionale, ultimamente, ha impostato un nuovo spazio web per l’autopubblicazione, promettendo vetrine, opportunità e visibilità agli aspiranti scrittori. Tu hai un’esperienza davvero notevole in campo editoriale, cosa ti sentiresti di suggerire a chi ti chiedesse un’opinione in merito? Puoi fornirci un primo bilancio della tua esperienza di autoproduzione?
Ricorrere al self-publishing può essere una carta da giocare, ma non si pensi che l’autopubblicazione possa portare gloria e allori (a tutti). Siamo in un paese di poeti e di scrittori, che però non conoscono le basi fondamentali della grammatica: non penso proprio che tra le autopubblicazioni ci siano chissà quali talenti nascosti! Ho letto qualche cosa, ma solo un paio di titoli mi sono sembrati meritevoli di apparire nei cataloghi di un editore tradizionale. Con il self-publishing chiunque può vedere stampate le proprie parole, ma questa libertà di parola non è sinonimo di qualità. Il mio consiglio è di stare molto attenti a quando si comperano dei libri, dagli editori tradizionali, ma anche e a maggior ragione quando si compra da Lulu.com o da altri che stampano on demand. Il mio consiglio, sempre, è quello di approfondire prima per evitare brutte sorprese dopo: comprare un libro Mondadori, ad esempio, non mi tutela affatto dall’avere brutte o bruttissime sorprese, ed uguale discorso con l’editoria on demand. Un bravo lettore dovrebbe sempre informarsi prima di procedere all’acquisto di un libro: in Italia si pubblica tantissimo, ma solo un 5% scarso è di titoli che meritano d’esser letti. Faccio due esempi macroscopici. “Lettere a nessuno” di Antonio Moresco, Einaudi, è un libro da evitare: molto meglio leggere Melissa P. piuttosto che Moresco, che viene addirittura presentato nelle note di copertina al pari di Cesare Pavese e Giacomo Leopardi; niente di più falso, è uno dei più sopravalutati imbrattacarte di questa terra dei cachi. Emblematico poi il caso Casarini, “La parte della fortuna”, Mondadori, pubblicato perché Casarini conosce Sandrone Dazieri consulente per la casa editrice Mondadori, un libro che è stato pubblicato perché Luca e Sandrone sono amici e non per altro. Fabrizio Ronconi, che ha intervistato a suo tempo Casarini per il Corriere della Sera, con poche semplici mirate domande lo ha letteralmente messo al tappeto, in questi termini:
- Dica la verità: come ci è arrivato a una casa editrice così prestigiosa?
– “Merito di Sandrone Dazieri”.
– L’autore di “Attenti al gorilla”.
– “Esatto. Sandrone scrive gialli, è consulente per la Mondadori e ci conosciamo da una vita, da quando lui, per capirci, frequentava il centro sociale Leoncavallo… La faccenda è più chiara, ora?”
L’editoria italiana funziona così, cioè non funziona.
Ma non si pensi che l’editoria on demand possa portare ai lettori dei tesori sconosciuti: è più onesto dire che questa forma libera di pubblicazione è una sorta di vaso di Pandora, per cui prima di acquistare un titolo è sempre bene informarsi sull’autore. Si tenga poi presente che il self-publishing non si avvale di editor o correttori di bozze: chi scrive è editor, correttore di bozze e sédicente scrittore allo stesso tempo.
Io mi sono autopubblicato perché non intendevo essere censurato. L’editoria on demand in tal senso è una grande opportunità: se sai scrivere e sai scrivere bene, affidarsi a Lulu.com o ad altri servizi similari è un modo conveniente per aggirare la censura e le pretese di commerciabilità degli editori tradizionali.
7. “Morte all’alba” raccoglie racconti che spaziano dall’avantpop all’horror e al dark, dall’erotismo alla bukowski, alla science-fiction. Cimentandoti con quale di questi generi tanto diversi ti sei sentito più a tuo agio e quali sono i tuoi autori di riferimento per ognuno di essi? I grandi, a tuo avviso, sono tali a prescindere dal genere oppure, più provocatoriamente, hai delle preferenze che influenzano anche la tua percezione del talento?
Non c’è un genere che mi aggrada più di un altro. Sostanzialmente penso che se un racconto è scritto bene, al di là del genere, possa offrire spunti di riflessione e di divertimento tanto per il lettore quanto per lo scrittore.
Non trovo sia giusto definire la scrittura di Charles Bukowski “erotica”; è più giusto dire che i suoi sono romanzi che parlano anche di donne e di sesso, ma Bukowski non era uno scrittore erotico o rosa. Qualcuno pensa di metterlo a forza tra quelli della Beat Generation: ma Hank non è mai stato di quella sponda, né ha mai avvicinato la strada à la Jack Kerouac né l’urlo e in seguito la trascendenza di Allen Ginsberg. Da giovane, per provocazione, fingeva d’essere per il nazismo, ma in realtà non ha mai fatto politica: Chinaski non era uomo che potesse permettersi di perdere tempo dietro agli affari della politica, preferiva di gran lunga le sbornie, le donne e la buona poesia. Per Bukowski donne vino poesia erano, punto e basta. Né si pensi che fosse uno hippy. Per Hank gli scrittori di riferimento erano una manciata: Louis-Ferdinand Céline, Anton Chekhov, Ernest Hemingway, John Fante, autori che anch’io stimo, in particolare Céline ed Hemingway. Qualcuno l’ha indicato come uno scrittore underground, altri ancora hanno detto di lui che fu un alienato, un barbone, un disadattato. Hank fu uno scrittore di Los Angeles che descrisse l’umanità, nelle sue varie sfumature, perché “L’uomo è la fogna dell’universo”, usando le sue stesse parole. Fu un uomo libero, slegato da religioni e politiche. Un vero scrittore, e mai un beatnik o un hippy.
Per la science-fiction potrei citare Philip K. Dick, Isaac Asimov e Arthur C. Clarke. Per l’horror e il dark, il primissimo Stephen King, ma soprattutto Henry James, Joseph Sheridan Le Fanu, John William Polidori, Edgar Allan Poe, Horace Walpole e ovviamente l’indiscusso maestro Howard Phillips Lovecraft. Per l’avantpop, Larry McCaffery, Mark Leyner, William T. Vollmann, Thomas Pynchon e anche Jonathan Lethem, pur non apprezzandolo per tutti i suoi romanzi e racconti. Per chi volesse approfondire, il manifesto dell’avantpop qui (in inglese): http://www.altx.com/manifestos/avant.pop.manifesto.html
Sono dell’opinione che il talento sia qualche cosa di innato, che si può affinare con il tempo e l’esperienza, ma che non si può creare dal nulla, neanche con un lungo e mirato esercizio. Il talento ce l’hai o non ce l’hai. Mi fanno sorridere quelli che pretendono di insegnare a chiunque ad essere un artista: al limite è possibile instillare un po’ d’amore verso l’arte e la bellezza, tuttavia è impossibile far di un caprone un novello Giotto, un Leopardi, un Beethoven. Artisti si nasce e basta, come chi nasce con una grande voce e una immane sensibilità artistica. Non si può insegnare a un asino a cantare come Renato Caruso, né è giusto pretendere che un asino mortifichi il suo ragliare che è la cosa che meglio gli riesce.
Preferisco di gran lunga i talenti naturali, quindi mi interessano poco o niente tutti quelli che vengono presentati dagli editori come geniali azzeccagarbugli che hanno frequentato questa-scuola-di-scrittura-creativa e che hanno vinto il premio ad essa annesso. Amo la genuinità, che solitamente è presente in chi sregolato e “contro”: Fëdor Michajlovič Dostoevskij, ad esempio, fu un genio non solo del suo tempo, pochi come lui seppero disegnare l’animale uomo, e non si può certo dire che Fëdor non fosse un visionario e un ribelle soprattutto. Per questo Fëdor è ancora oggi più che mai attuale.
8. Ti ringrazio caro Beppe. Mi piacerebbe molto, ora, che tu liberamente aggiungessi in coda a questa intervista tutto quello che è mancato alle mie domande e che senti invece come importante da aggiungere affinché i lettori entrino più profondamente in contatto con ciò che hai voluto esprimere e comunicare con il tuo lavoro. Per quanto riguarda la mia impressione, che è tutto fuorché una critica, si tratta di una prova che evidenzia un notevole talento narrativo, non comune né scontato; cattura e affascina per la varietà dei temi, per lo stile sapiente e curato, capace di produrre emozioni forti e contrastanti nel lettore, e che risulta sempre funzionale al contenuto di ogni racconto. “Morte all’alba” attiva sensazioni molto accese che perdurano; spesso durante l’arco delle giornate i diversi racconti ritornano alla mente, ci si sorprende a pensarci. Non offre mai contentini o facili soluzioni, risultando qua e là (senza averne l’intenzione smaccata) un lavoro anche sottilmente educativo. Si tratta di un’opera che lascia una traccia sensibile, una sensazione indefinita addosso, come di uno specchio in cui guardarsi per la prima volta senza maschere, uno specchio che rimanda un’immagine non sempre clemente.
Direi che le domande sono state abbastanza penetranti e libere da costrizioni, difatti mi hanno lasciato l’opportunità di esprimermi a lungo e in maniera totale, per cui non è che abbia molto da aggiungere. Come ho detto, “Morte all’alba” non è un libro adatto alle convenienze editoriali; spesse volte il linguaggio è crudo, le scene disegnate sono cruente, ma il tutto non è mai fine a sé stesso. Anche là dove, per esigenze espressive, ho fatto ricorso ad immagini esplicite, c’è sempre un pizzico di poesia.
La tua impressione di lettura è molto generosa e un po’ mi mette in imbarazzo, ma l’accetto di buon grado perché so che è dettata dalla sincerità.
Ti ringrazio per la tua disponibilità nel voler ascoltare il vecchio trombone che sono. Mi sono davvero divertito con questa intervista fatta in tutta libertà, come due vecchi amici al bar che parlano tra un caffè e un altro di amore anarchia e libertà. E la musica di sottofondo, ovviamente quella di Gino Paoli.