Magazine Cultura
da Postpopuli.it
Leggere Marcel Proust procura sempre emozioni rare e felicità autentica, e fra i molteplici piaceri che si possono provare immergendosi nella “Ricerca del Tempo Perduto“, quello di cui voglio parlare oggi – a novant’anni dalla sua scomparsa –, è molto speciale: il piacere di essere accompagnati in un vero e proprio museo.
Marcel Proust – http://thethoughtstree.files.wordpress.com Difatti, Proust, appassionato di arte, fa della pittura uno dei temi privilegiati del suo romanzo e i riferimenti ai quadri dei grandi maestri sono continui: confronti, paragoni, analogie, che si inseriscono nel racconto, anzi fanno parte del racconto, e grazie ai quali lo scrittore realizza quella fusione tra realtà ed immaginario, quell’osmosi tra arte e vita, che costituisce la chiave di volta della sua poetica. Raramente il quadro viene chiamato con il suo titolo – il più delle volte è solo suggerito – o descritto per intero, l’attenzione si concentra soprattutto su un particolare: così ad esempio la magnifica e sensuale tonalità “rosa Tiepolo” della vestaglia di Odette o del mantello della Duchessa di Guermantes – il rosa, ricordiamolo, è il colore di Venere, il colore dell’amore -; oppure su alcuni dettagli: Swann trova una forte somiglianza fra l’amico del narratore, Bloch , e il Maometto II di Bellini, “sono le stesse sopraciglia circonflesse, lo stesso naso ricurvo, gli stessi zigomi sporgenti …“, sottolineandone così i tratti semitici. I personaggi della Ricerca, e Swann in particolare, amano fare paragoni fra i loro conoscenti e i ritratti eseguiti da pittori famosi. Può essere l’effetto di una volontà idealizzante, rassicurante, che salva la persona amata dalla mediocrità o dalla meschinità. Così Swann ritrova in Odette gli atteggiamenti e i lineamenti di Sefora, la figlia di Jetro dell’affresco di Botticelli , ed è talmente compiaciuto del suo quadro vivente che, sulla sua scrivania, ha posto una riproduzione di Sefora invece della fotografia di Odette. Il barone di Charlus, innamorato di Morel, si estasia della sua avvenenza fisica, “è diventato così bello, sembra quasi un Bronzino“. A volte, invece, questi confronti possono avere risvolti inquietanti. Una sera, il narratore si ritrova, all’improvviso, di fronte a Charlus, e il barone, invecchiato, con “le sue ciglia annerite, le sue guance incipriate”, gli ricorda “un grande inquisitore del Greco” che faceva paura. Un’altra sera, sempre il nostro narratore, sdraiato accanto ad Albertine, scopre nel suo profilo “un certo aspetto della sua figura … adunco, come in certe caricature di Leonardo, che sembrano rivelare la cattiveria, l’avarizia, la furberia … “.
Sefora di Botticelli – http://upload.wikimedia.org Albertine è quasi sempre associata alla pittura. E’ l’amica di Elstir, il pittore immaginario della Ricerca, e la vediamo, più di una volta, inquadrata di profilo nella finestra del suo atelier. Al narratore, la ragazza fa venire in mente Giotto, Tiziano, Michelangelo, Velasquez, Carpaccio…continui, suggestivi accostamenti che rischiarano la sua personalità sfuggente, vogliono svelare il suo segreto ma, nello stesso tempo, ne approfondiscono il mistero. Albertine rimane e rimarrà per sempre “un essere di fuga“, inafferrabile, impenetrabile come un pastello di Quentin de La Tour: “non sembrava avere sentito ciò che avevamo appena detto…come se lo avessimo detto davanti ad un ritratto di La Tour“. Non sono solo le persone a far scaturire questi flash, a suggerire queste corrispondenze, ma anche gli oggetti e le piccole cose, a volte triviali, della vita quotidiana: gli asparagi di Françoise, così buoni, ma dall’odore così forte e che avevano tanto nauseato la povera ragazza di cucina incinta, si trasformano in un bellissimo quadro di Manet, a sua volta accostato ad una natura morta di Chardin. Perché quello che conta è l’essenza delle cose, e l’opera d’arte sola riesce a raggiungerla, riesce a trascendere l’ordinario. Oppure sono paesaggi che ricordano tele famose e che, suscitando emozioni intense, aprono lo spazio all’immaginario: come lo spettacolo del mare a Balbec, ed in particolare il tramonto dallo squisito color rosa, “simile ad una farfalla che …sembrava apporre con le sue ali in fondo a quest’armonia grigio e rosa nel gusto di quelle di Whistler, la firma del maestro di Chelsea“; o come la piccola e triste città di Doncières che, d’inverno, all’improvviso, si anima e diventa gioiosa come un quadro di Breughel “e la neve…faceva pensare, in questa città…alla faccia rubiconda che Breughel dà ai suoi contadini gioiosi, bisboccioni e intirizziti dal freddo“.
Veduta di Delft di Vermeer – static1.nazioneindiana.net Infine, non possiamo non rammentare l’episodio famoso del “petit pan de mur jaune“. Lo scrittore Bergotte, nonostante sia molto malato, è andato a vedere, ad una mostra di pittura olandese, un quadro che ama molto, la “Veduta di Delft” di Vermeer. Guardandolo molto attentamente, nota alcuni particolari che non aveva mai visto prima, fra i quali, una “piccola ala di muro giallo“ dipinta meravigliosamente bene. Affascinato, sconvolto dalla forza emozionale e dalla bellezza di quel prezioso color giallo, egli capisce che è così che avrebbe dovuto scrivere, che non ha fatto altro che perdere tempo e non ha saputo realizzare una vera opera d’arte. Sopraffatto da questa rivelazione, è colpito da malore, si accascia su un divano e muore. Perché il vero artista è quello che riesce a cogliere le analogie e a capire il loro significato, ad operare la metamorfosi della realtà e proporre una nuova visione del mondo, originale, bella e di forte impatto emozionale, a ri-creare il mondo con l’opera d’arte, la “vera vita“, lei sola capace di sconfiggere il tempo.
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