Quando la prosa raffinata e fluida di uno dei più grandi monumenti letterari francesi esce dalla sacralità inattaccabile di un volume per avvicinarsi alle quotidiane dinamiche umane, ecco che il risultato è un sorprendente connubio tra eleganza e passionalità. Federico Tiezzi porta in scena una piccola perla strappata a quel continuo flusso narrativo che è À la recherche du temps perdu di Marcel Proust. Un lavoro delicatissimo che correva il rischio della dissacrazione, della caduta in un arido chiacchiericcio borghese ben distante dalla potenza evocativa perseguita dall’autore. E, invece, la traduzione di Giovanni Raboni e la drammaturgia dello stesso Sandro Lombardi (grande interprete di Charles Swann) siglano un patto di infrangibile rispettabilità con il sommo Autore, garantendo quel senso di continuità che sempre ci aspetteremmo di trovare nelle trasposizioni teatrali di opere di un certo calibro. Un amour de Swann è la seconda delle tre parti in cui è diviso il primo volume del capolavoro di Proust, Du côté de chez Swann (Dalla parte di Swann). Un piccolo manuale d’amore che segue, passo dopo passo, l’evoluzione del sentimento, all’inizio confuso poi sempre meglio definito, che lega Charles Swann, considerato l’alter ego dell’io narrante del romanzo, e Odette de Crécy, a partire da quel loro primo incontro nel salotto di Madame Verdurin. Ecco che i tre prendono vita in una messa in scena all’insegna dell’ambiguità: narratori e personaggi narrati, questi i ruoli che continuamente si alternano in un divertissement teatrale giocato sulla caricaturale oggettivazione delle dinamiche amorose.
Tutto è rappresentazione, nessuno spazio è lasciato all’autenticità: gli attori recitano la parte di soggetti a loro volta in bilico tra sincerità e menzogna, tra spontaneità e finzione, in seno a una società che lotta per non far crollare un’autorevolezza sempre più sfuggente. Chi è veramente Odette? Qual è il suo scopo? Come può Swann innamorarsi di una creatura così distante dai suoi ideali? Qual è l’atmosfera che si respira nel salotto di Madame Verdurin? Tre satelliti che si muovono attorno a poltrone rosse interloquendo a tratti con personaggi invisibili, tre poderosi mascheroni che si ostinano a portare avanti la farsa delle convenzioni sociali, battaglia già persa in partenza se si cerca di inglobare anche l’Amore nel più gretto conformismo. Le immagini-ricordo tanto care a Bergson non vengono più evocate dal narratore protagonista, ma sono esse stesse a raccontarsi e commentarsi – ed ecco che la prosa proustiana, raccordo imprescindibile tra una fase e l’altra dell’alchimia amorosa, si sposa nobilmente con il dramma.
Sandro Lombardi è uno Swann sballottato tra gli eventi, capitato per caso nel salotto di Madame Verdurin – “piccolo nucleo” di cui si può far parte solo se si rispettano le norme di un lezioso Credo borghese – e subito venuto a contatto con la magnetica e misteriosa Odette (Elena Ghiaurov), inafferrabile nella sua bellezza niente affatto canonica, incorreggibile nella sua semplice ignoranza malcelata dietro l’attrazione per un’arte messa tutta sullo stesso piano, persino fastidiosa nel suo gioco di seduzione ora sfacciato ora ritroso, e nella sua mania per tutto ciò che indistintamente può rientrare nella categoria “chic”. Swann cade presto nel baratro senza ritorno dell’accecamento, del volontario masochismo che lo porta a ritrattare continuamente dubbi e angosce, mentre Odette volteggia di fronte a lui illuminata da luci alternate: creatura angelica o subdola e opportunista macchinatrice infernale?
Madame Verdurin (Iaia Forte) è la gorgogliante capocomica del baraccone imbastito, pettegola e possessiva, si atteggia a mecenate di artisti e galeotta di innamorati, starnazzando sentenze e mutando umore e opinioni a ogni soffio di vento contrario. Dalla piccola frase della sonata di Vinteuil, musica immaginaria della Recherche, che diventerà l’inno del legame tra Swann e Odette, al “gioco della cattleya” tra i due, allusione dell’atto sessuale, tanto perseguito ma non sempre soddisfatto; dalle chiacchiere davanti a una tazza di tè ai logoranti inseguimenti per i café, dall’infatuazione istintiva alla gelosia più viscerale, ecco che si snoda un trattato metateatrale e metaletterario, che dialoga con le sue stesse dinamiche interne, coinvolgendo tutti noi nella riflessione su un amore tanto più sentito quanto più ci sfianca in una dannosa ricerca – di cosa, precisamente, non è dato saperlo.
Per le immagini si ringrazia il Teatro Stabile di Torino – Fotografie di Marcello Norberth
Un amore di Swann
di Marcel Proust
Traduzione: Giovanni Raboni – Drammaturgia: Sandro Lombardi
Regia: Federico Tiezzi – Scene: Pier Paolo Bisleri – Luci: Gianni Pollini – Costumi: Giovanna Buzzi
con Sandro Lombardi, Elena Ghiaurov, Iaia Forte
Produzione: Compagnia Lombardi – Tiezzi
Torino, Teatro Gobetti, dal 12 al 17 febbraio 2013