Per un’interminabile settimana abbiamo assistito alla telenovela “Sergio e Luca Cordero. Storia di odio e di pistoni”, nella quale non sono mancate carognate, tradimenti, battute al veleno e, infine, mielose quanto ipocrite dichiarazioni pubbliche di stima reciproca. Non vedevo tanta falsità da quando maneggiavo i soldi del monopoli.
Donna Marchionne – italo-canadese con residenza in Svizzera – è un po’ come Stefany Forrester di Beatiful: solida, burbera e tendente ad una cronica e irrecuperabile frigidità.
Lady Montezemolo, au contraire, ricorda più Brooke Logan: è un tantinello più giovane e stilosa, non è una matrona grezza e spettinata, con coltivazioni sparse di forfora su un maglioncino di lana mortaccina, no! Ella è la classica imprenditrice gatta morta: un’ammiccante allegrotta che ha zompettato in Fiat e in Confindustria sin dalla più tenera età, avendo così il tempo di ripassarsi un po’ tutti con il suo fare civettuolo, gattamortesco appunto.
Rispetto alla vecchia acidona, la seconda acchiappa di più a livello estetico, intrallazza con tutti, si mostra in giro sempre in tiro, sa bene come ingraziarsi tutti, grazie anche ad una maggiore padronanza della nostra sintassi rispetto alla prima.
Diversamente la signorina Rottermaier dell’industria italiana è distaccata, schifa un po’ tutti vista l’assenza di specchi in casa! Inoltre è abitata dalla pervicace quanto immotivata convinzione di possedere il verbo del capitalismo moderno, senza rendersi conto di propinare sul mercato un mezzo di trasporto che non ha subito rilevanti modifiche strutturali da circa centoventi anni. In fondo il principio del motore a scoppio è sempre lo stesso sin dai suoi esordi e proprio nelle Fiat si nota di più. Dunque Sergio Marchionne è un convinto sostenitore della più inquinante e becera tradizione industriale d’inizio novecento.
Ma nonostante le profonde differenze di stile è d’uopo ravvisare nelle due tristi protagoniste un vampiresco minimo comun denominatore: entrambe (come i rispettivi personaggi della più nota e meno dannosa soap Beatiful) sanno fare le signore solo col grano degli altri.
Infatti nel 2010 la Fiat guidata da Montenzemolo fu foraggiata – tra incentivi statali per l’acquisto di auto e fondi strutturali – con quasi 2,5 miliardi di euro, mentre Donna Marchionne, che ha avuto in eredità un pozzo senza fondo che dal 1977 ha spolpato allo stato una cifra pari a 7,6 miliardi di euro, ha pensato bene di delocalizzare tutto all’estero. Ora il gruppo FCA (Fiat Chrysler Auto) ha sede fiscale a Londra e legale ad Amsterdam.
Ma dobbiamo anche ricordare allo sgrammaticato Marchionne che prima di sbaraccare ha goduto di fondi elargiti dal Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica (Cipe) per circa 50 milioni di euro, l’ultimo colpetto – mentre il governo Monti faceva da palo – prima di darsi alla macchia definitivamente.
Durante la conferenza stampa sul passaggio della Ferrari a Marchionne spuntava sempre come un fungo la parola cazzata: ognuna delle due dame la rimpallava sorridendo a denti stretti all’altra come un mantra della mediocrità, che nel contempo potrebbe esser interpretato sia come un curriculum che come una profezia. Abbiamo visto sorrisi al veleno, rassicurazioni inutili sul futuro della Ferrari in formula 1, parole vuote sull’imminente quotazione in borsa del gruppo FCA (che grazie alla Ferrari risulterà ancora più allettante), ma non si è sentita una sola parola sulla situazione degli stabilimenti Fiat in Italia, sulla possibilità di creare nuovi posti di lavoro, neanche un grugnito di Marchionne sulle possibilità di crescita industriale in Italia e né, tantomeno, un rigurgito su eventuali investimenti nel settore.
In fondo Stefany e Brooke hanno ragione, fare i veri industriali è faticoso, richiede impegno e lungimiranza; molto più riposante e rincoglionente promettere vittorie sui circuiti di formula 1, battezzare stagioni nuove pronte a morire ancora in fasce, anziché fare discorsi seri. Per quelli ci vogliono persone serie.
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fonte foto: Omniauto
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