Il Wall Street Journal lancia l’allarme per i conti, anche perché la commercializzazione della versione aero ( sul titolo ho barato un po’) è stata rinviata, ma in gioco c’è molto di più: la Dart costruita sul pianale della Giulietta, dunque una compact per gli americani, è una pedina fondamentale nella strategia Marchionne: è la word car che dovrebbe assicurare il rilancio del gruppo. Infatti è costruita anche in Cina con il nome di Viaggio, ( Fei Xiang in cinese), dovrebbe essere assemblata in Russia e in Sudamerica e tornare in Italia sotto le spoglie di nuova lancia Delta. Però evidentemente qualcosa non funziona, come del resto è sempre accaduto con le tentate word car della Fiat, rivelatesi sempre la peggior produzione della casa torinese. E probabilmente sarebbe stato meglio commercializzare direttamente la Giulietta che almeno gode di un marchio con qualche attrazione.
Le ragioni del flop possono essere molte, ma è chiara una cosa: che Marchionne, uomo nato e cresciuto nella finanza, voluto per imperscrutabili motivi da Umberto Agnelli alla guida del più grande gruppo industriale italiano, si è lasciato sedurre dalla teorica possibilità di fare sinergia e grandi numeri, senza minimamente sospettare le difficoltà delle nozze tra case costruttrici, specie se agli antipodi. E forse pensando che i modelli s’improvvisano e si assemblano come un puzzle pensando esclusivamente ai bilanci. Se poi si rinuncia agli investimenti per pagare la cerimonia nuziale in un momento di crisi e con incipienti mutamenti di mercato e tecnologici, si rischia di rimanere senza casa.
Il Marchionne incensato e adorato dalle classi dirigenti italiane si rivela sempre più come l’uomo sbagliato al posto sbagliato. Ma qui -ed è la ragione di questo post automobilistico – il manager col maglioncino non è altro che l’emblema di un “sistema Italia” basato sull’improvvisazione, sul vivere giorno per giorno cogliendo astutamente occasioni e ottusamente bruciandole, fidando negli aiuti di stato palesi, ma assi più spesso sottobanco, attraverso la rete di protezione dell’affarismo politico-mediatico, facendo pagare ai lavoratori errori, leggerezze, cattiva coscienza. E contemporaneamente predicando il meno stato. Marchionne è simbolico in questo, pretendendo di calpestare persino la Costituzione in nome del profitto (erroneamente chiamata competitività) essendo a capo di un gruppo nel quale nessuna delle due case esisterebbe da tempo senza enormi aiuti pubblici.
E’ in questo quadro che si situa l’improvvisazione produttiva dovuta alla fretta e ai ritardi, la grande attenzione riservata alle mosse finanziarie o ai giardinetti di famiglia piuttosto che al rinnovamento dei modelli e all’innovazione. Qui si trova il motivo di alleanze non cercate in passato, quando sarebbero state vitali e cercate affannosamente e senza troppo criterio all’ultimo momento. Qualcosa che va molto oltre la Fiat, ma coinvolge il modo, i criteri, le mentalità con cui stato e viene governato il Paese. Grandi manager e grandi tecnici, grandi flop.
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