Ma la convinzione che il denaro in grado di riprodurre se stesso era assai più interessante della produzione di cui Marchionne con tutta evidenza non capisce nulla, facendo discorsi da principiante: ciò che conta è il profitto e anche l’avventura Chrysler è stata perseguita in questa ottica, con l’incongrua unione di due gruppi industriali radicalmente differenti nell’ottusa illusione che sommando i numeri dell auto prodotte si potesse dare vita a un costruttore che se la giocava con i grandi e i grandissimi.
Nulla di tutto questo è accaduto: il gruppo vende meno che all’inizio della cosiddetta fusione. E se la Chrysler, dopo un breve fuoco di paglia, comincia di nuovo ad incontrare difficoltà, grazie anche a un insulso modello voluto dall’uomo del maglioncino, la Fiat è al lumicino, la Lancia è praticamente scomparsa, l’Alfa Romeo è in vendita o in esodo dentro una crisi profonda di prodotto e progetto dalla quale Marchionne non ha idea di come uscire, ma nemmeno vuole uscire. Questo dopo che l’Italia ha speso miliardi di euro pubblici per sostenere l’azienda torinese e ha anche fatto di tutto per evitare che entrassero concorrenti diretti a creare posti di lavoro.
Ora per giustificare se stesso dice che in Italia non si può fare impresa. Chissà come poi siamo riusciti a diventare il secondo Paese industriale d’Europa. Probabilmente perché non c’erano i Marchionne i quali evidentemente considerano che l’ideale per mettere su l’industria sia una città fantasma come Detroit, ormai fallita, semi abbandonata nelle sue zone centrali e affollata solo dalla criminalità, dove una casa di oltre 100 metri quadri può costare appena 300 dollari. Sono queste le realtà che piacciono a Marchionne: quelle dove degrado e miseria forniscono un’arma ideale per offendere la dignità del lavoro.
Oddio il sistema politico si sta dando da fare per accontentare l’Ad della Fiat e creare le condizioni ideali per la produzione. Peccato che quei testoni di italiani siano così recalcitranti a farsi entrare in testa che miseria, sfruttamento, precarietà, assenza di welfare siano una manna per la competitività. E in più ci si mettono anche i tribunali che impongono di ripristinare un minimo di agibilità sindacale, incuranti che così fanno piangere Bonanni. Così che molto presto Marchionne porterà tutto via dando l’addio a questo mondo crudele e invidioso che non capisce perché lui debba guadagnare in un anno più di tutti i lavoratori di Pomigliano.