Marco Buratti is Back!

Creato il 07 aprile 2015 da Annalife @Annalisa

era ora

Un punto di bonus soltanto per il fatto di essersi rimesso a raccontare dell’Alligatore, di aver scritto un libro senza la collaborazione di questo e quello, di aver quasi promesso un seguito.
Lo strillo in quarta di copertina anticipa che, nel corso della storia, si incontreranno Marco Buratti, detto l’Alligatore, e Giorgio Pellegrini, amorale protagonista di due altri romanzi di Carlotto. In realtà, durante la lettura, io me ne sono dimenticata, e solo dopo un po’ mi sono accorta, a un certo punto, che l’uomo di cui si stava parlando era il Pellegrini di “Arrivederci, amore ciao”.
Me ne sono accorta soprattutto perché, in certe pagine, ho avuto una sensazione di déja vu, la sensazione che ciò che mi veniva riassunto in poche parole fosse storia conosciuta.

Sì, perché, contrariamente a quello che accade di solito in certi romanzi che, per riprendere le fila del discorso, riprendono trame e avvenimenti e li rispiegano per filo e per segno, Carlotto non si dà tanta pena: se qualcuno ha già letto, si ricorda della trama precedente; se qualcuno non ha ancora letto, segue la nuova trama con le sole indicazioni necessarie per procedere.
Lo stesso vale per l’Alligatore: nei primi capitoli, qui e là, sono disseminati indizi e ricordi e segnali dal passato, ma non sono sempre chiari, per chi ha lasciato l’Alligatore cinque anni fa. Se da una parte applaudo per la scelta di Carlotto (non perdiamoci troppo nel passato, andiamo avanti, la storia c’è, è nuova, seguiamola), dall’altra mi rendo conto che a volte la lettura può risultare faticosa, divagante, per chi conosce già l’Alligatore e quasi senza accorgersene nel tenta di cogliere accenni del passato e di mettere insieme il puzzle dei romanzi precedenti. Anche, però, diciamolo, nel tentativo di accettare lo spunto narrativo (che mi pare un po’ forzato, finché magari non scoprirò che si ispira a un fatto successo realmente, perché l’autore fa di questi scherzi).
A un certo punto, comunque, Carlotto torna Carlotto, e la trama e la scrittura ti prendono e ti fanno procedere senza altri pensieri dello scoprire come andrà a finire. La scrittura che mi ha fatto scordare anticipazioni e strilli e che mi ha portato a sobbalzare quando finalmente mi sono resa conto di chi stavamo incontrando (sia io sia l’Alligatore). Una scrittura che ha la capacità di variare per seguire (direbbero alcuni) la temperie in cui si muovono i due diversi protagonisti. È come se, nei capitoli dedicati a Pellegrini, persino la scrittura si raffreddasse, diventasse più secca, asciutta, senza anima, adatta perciò al personaggio.
Più sfocata, rispetto ad altri romanzi, la narrazione, a volte rabbiosa, a volte disperante, dell’Italia, del mondo in cui viviamo oggi, del nord-est rimasto sullo sfondo. Meno evidente, cioè, la sensazione di pericolo che i romanzi di Carlotto spesso ispirano. Qui a farla da padrone sono i protagonisti e la storia in sé che, alla fine, pur chiudendo la trama principale, lascia con la quasi certezza del seguito.

(e in più la copertina finalmente non ci fa rimpiangere quelle originali dell’Alligatore)



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