Diciamolo subito: è stato un fiasco. L’idea era quella di riuscire avvicinare al Teatro Lirico un pubblico nuovo, portando in scena a fianco all’orchestra e al coro cagliaritani un personaggio del tutto alieno alla cultura della musica d’arte, ma investito da popolarità mediatica, come appunto Marco Carta.
Giovedì sera il progetto è però naufragato davanti a un teatro completamente vuoto nelle due logge e con pochi spettatori in platea: decisamente meno di quanti seguono anche i concerti con minore appeal della normale programmazione. Di sicuro un errore di valutazione degli umori del pubblico: già provato da una stagione concertistica completamente stravolta nelle date, nei programmi e negli interpreti, orfano dell’opera lirica, e che ha vissuto la presentazione del Festival di Sant’Efisio come un’operazione di facciata e non di sostanza.
Ma anche un errore da parte di Marco Carta e di chi gli ha consigliato di accettare di recitare una parte che non gli appartiene, e per la quale è evidente che non sente alcuna affinità.
Sembra facile raccontare storie. Eppure così non è. E Pierino e il lupo , la favola musicale di Sergei Prokofiev vive di accenti e respiri che bisogna prima di tutto conoscere per poter cogliere. Magari cercando anche di capire perché uno dei più grandi musicisti del ‘900 scelse di esercitare la sua arte in un’opera dagli intenti didattici, aderendo agli ideali del realismo socialista.
Tutto questo però non fa visibilmente parte dell’orizzonte di Marco Carta che, con un misto di goffaggine e spavalderia, rischia di ruzzolare tra le parole, in una lettura piatta nell’intonazione, e pericolosamente simile a quella di un saggio scolastico.
Le decine di fan organizzati, ben distribuiti nello spazio della platea, e osannanti ancor prima che il giovane vincitore del Festival di Sanremo 2009 aprisse bocca, ce l’hanno messa tutta per sostenere il loro beniamino. Gli altri hanno assistito tra lo sbigottito e il perplesso ad un Pierino e il lupo narrato con voce assolutamente monocorde e inespressiva, senza ombra di smalto né humour. Il Pierino di Marco Carta è così un succedersi di battute ingessate, buttate lì per sbaglio. Evidente la totale mancanza di dimestichezza con la musica di Prokofiev e con parole che non fanno parte del suo linguaggio, lette più o meno svogliatamente.
La débacle sarebbe stata completa, non fosse stato per il direttore e l’orchestra, con fior di professionisti che hanno portato avanti lo spettacolo con encomiabile serietà professionale. In effetti il programma era tra i più belli che si potesse organizzare pensando ai gusti e alle esigenze dei giovanissimi.
Facilità d’ascolto e spessore artistico coniugati con garbo, che partono dalle Danze polovesiane , con il loro carico esotico e vitale. Una delle alchimie meglio riuscite di Borodin, ricche di colore orchestrale, che la direzione del giovane Alessandro Cadario ha riempito di impeti e freschezza, seguito con entusiasmo coinvolgente e parossistico da orchestra e coro.
Poi è la suite dallo Schiaccianoci di Cajkovskij che dà modo a direttore e orchestra di diversificare dinamiche ed espressioni, passando dall’irruenza della danza russa all’indolente lentezza della danza araba. Esercizi di stile che l’orchestra di Cagliari accoglie e valorizza, mettendo in mostra tutte le qualità e il virtuosismo delle prime parti.
GRECA PIRAS – L’Unione Sarda 16.04.2011
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