Eccone un altro. Che io non conosco: e quindi magari si tratta di una persona valida e di un giornalista capace (filosofo di formazione, con dottorato a Parigi). Però, perché avventurarsi in prese di posizione così nette, evidentemente ispirate dai circoli anti-Akp, se della Turchia si ha una conoscenza di terza o quarta mano? Marco Cesario ha infatti recentemente scritto su Micromega un articolo che è un po’ un pastrocchio, con dati riportati in modo tendenzioso e associazioni logiche più che forzate inventate di sana pianta. Un articolo sostanzialmente confusionario, che da’ al lettore un’idea terribilmente distorta. Un articolo basato sulle vicende di Ahmet Şik e Nedim Şener, due giornalisti sotto processo perché accusati di far parte del gruppo golpista Ergenekon, e sul movimento (islamista?) di Fethullah Gülen.
Cominciamo a far luce su di un punto fondamentale: i 60 giornalisti attualmente in prigione di cui parla Cesario NON sono accusati di aver criticato o insultato qualche carica istituzionale o qualche dignitario del partito, di aver divulgato informazioni o dati riservati; sono invece quasi tutti curdi, in prigione per aver violato la legislazione anti-terrorismo: e pochi altri per “cospirazione”. Ora, al di là della natura eccessivamente repressiva di queste leggi e della possibile innocenza di uno o di tutti (anche di Şik e Şener), parlare di 60 giornalisti in prigione facendo intendere chissà cosa significa disinformare il lettore.
Ma Cesario fa di peggio: perché, riferendosi all’Akp e al movimento di Gülen, dà voce agli ambienti anti-islamici (laici o secolari, più che altro interessati a preservare i propri privilegi di casta) che per anni hanno intossicato l’informazione – turca e occidentale – parlando di agende segrete, di rischi di islamizzazione, della volonta dell’Akp e/o di istituire un nuovo califatto, di accuse pesantissime mai sufffragate da fatti concreti. In effetti, Şik e Şener sono stati arrestati per aver scritto un libro – e l’accusa è di averlo fatto su commissione, con finalità di disinformazione (il reato non è il libro in sé, ma la partecipazione a un vero e proprio complotto di cui il libro costituisce la modalità operativa: accusa che non sta a me giudicare se fondata o meno) – per denunciare le “infiltrazioni” del movimento gülenista (L’esercito dell’Imam) nella polizia e nelle istituzioni, sequestrato ancor prima di essere pubblicato.
Ma che senso ha parlare di “infiltrazioni” – termine che fa pensare a chissà quali inconfessabili fini – di un movimento che conta milioni di membri? Hanno un loro progetto di società e cercano con mezzi leciti di realizzarlo, facendo quello che fanno tutti i partiti e i movimenti da quando l’uomo ha inventato la politica: propaganda, proselitismo, acquisizione di influenza e potere. Un po’ come Comunione e Liberazione, no? Ma non sarebbe magari preferibile criticare il loro progetto di società, piuttosto che suggerire l’esistenza di chissà quali diaboliche macchinazioni?
Sì, far intendere: e in modo subdolo e scorretto. Scrive infatti Cesario che Gülen è “scappato negli Usa”, facendo pensare a chissà quali atroci e luridi delitti: quando invece era stato incriminato per le sue idee (e poi comunque successivamente prosciolto: perché il collega non lo precisa?); che “dietro la facciata dell’Islam moderato ci sarebbe l’idea di trasformare la Turchia in un moderno califfato” (ci sarebbe o c’è? ma è giornalismo questo? ci sarebbe?); che le dichiarazioni di Erdoğan sul velo (ma quali?) sono la prova della continugità tra l’Akp e il movimento gülenista (e quindi?). Ma poi fa una confusione enorme tra la legislazione d’ispirazione autoritaria imposta dopo i colpi di stato militari e le politiche dell’Akp: ignorando il fatto che questa legislazione – anche se solo parzialmente – l’Akp l’ha smantellata; getta nel calderone l’omicidio del giornalista turco-armeno Hrant Dink da parte degli ultranazionalisti – con la probabilissima partecipazione di Ergenekon – facendo quasi intendere che la responsabilità sia della polizia “infiltrata” dai gülenisti. Sono davvero sconcertato.