Federica Zingarino
Passione e solidarietà. Due ingredienti essenziali di Mare dentro, prima avventura da solista di Marco Ligabue. Anticipato da ben tre singoli (Ogni piccola pazzia, La differenza e È da te che dipende), l’album, uscito lo scorso mese di settembre, vede l’autore e chitarrista di Correggio dare vita ad un sound che mette insieme l’energia di certo rock americano e la melodia nostrana impreziosendo il tutto con testi in cui chi ascolta può facilmente ritrovarsi. Il risultato finale colpisce per vitalità e freschezza ed apre un nuovo capitolo nella vita artistica di Marco che, dopo più di dieci anni di militanza, nel 2012 aveva lasciato i Rio, band da lui fondata insieme a Fabio Mora, e scelto di mettersi in gioco dando vita ad un progetto nuovo, ad un diverso modo di comunicare la passione per la musica che da sempre lo accompagna. Non a caso poi abbiamo usato il termine solidarietà. Va, infatti, sottolineato come parte di quanto si otterrà dalla vendita del disco andrà alla Croce Rossa Italiana, con cui il cantautore ha scelto di condividere l’impegno di sostenere il lavoro della Mezzaluna Rossa Siriana per aiutare la popolazione colpita dal conflitto armato in Siria. Inoltre, da pochissime ore e sino al prossimo 11 gennaio, l’Associazione BuonaNascita Onlus donerà per ogni visualizzazione del video del brano La più grande orchestra un centesimo di euro in favore dei bambini-minatori del Benin che, invece di andare a scuola, sono costretti fin da piccolissimi a spaccare pietre di granito per guadagnare pochi spiccioli necessari alla sopravvivenza delle loro famiglie.
Nel frattempo, Marco, accompagnato dal chitarrista Jonathan Gasparini, continua a presentare le canzoni di Mare dentro in giro per l’Italia. Noi lo abbiamo sentito e ci siamo fatti raccontare qualcosa di più sul suo primo disco e su…
La differenza è uno dei singoli che hanno anticipato l’uscita del tuo album Mare dentro. Come ti è venuta in mente l’idea per il video del brano?
«Mi avevano suggerito un video di Paul McCartney che, interpretato da Johnny Depp e Natalie Portman, presentava una canzone chiamata My Valentine ed era fatto con la lingua dei segni. Mi aveva colpito tantissimo e mi ha fatto riflettere su come può essere importante fare arrivare la tua canzone anche a persone sorde, ed è proprio guardando quel video che mi è venuta l’idea e la voglia di farlo su un mio pezzo. Così abbiamo cercato un paio di personaggi che potessero essere anche conosciuti per dare più risalto a questa lingua e abbiamo trovato Alvin, che è un Dj di Radio 105, e Chiara Ferragni, fashion blogger di The Blonde Salad. Abbiamo chiamato un docente universitario che ha tradotto la canzone nella lingua dei segni e abbiamo realizzato il video».
Il tuo primo singolo è stato Ogni piccola pazzia, è d’obbligo chiederti se hai mai fatto delle pazzie?
«Bèh ne ho fatte tantissime, se nella vita non ti concedi ogni tanto qualche piccola pazzia rischia di diventare un binario un po’ unico, monotono, fatto solo di quotidianità. Cercare di uscire dal binario, di fare delle cose diverse ti porta a trovare stimoli nuovi e vedere la vita con occhi diversi».
Ci racconti una tua piccola pazzia?
«In questa canzone, di piccola pazzia, c’è quella d’amore. Io ho trovato la mia compagna e bene o male sono sette anni che rimbalzo tra Correggio e Alghero e a chiunque racconto questa storia, a chiunque dico che faccio il pendolare mi risponde “Ma tu sei pazzo”. Questa è la mia pazzia d’amore. In fin dei conti tutte le cose un po’ pazzerelle, un po’ strane e fuori dagli schemi sono quelle che tengono un po’ più saldo un legame di coppia».
Qual è la canzone di questo disco che ti rappresenta di più e perché?
«Le canzoni, in verità, mi rappresentano tutte. È difficile trovarne una che mi rappresenta più di un’altra. Posso dirti che c’è una canzone a cui sono particolarmente legato, in questo momento, perché mi diverte cantarla dal vivo e mi dà un’idea di cose belle ed è La più grande orchestra. Questo è il brano con cui chiudo tutti i concerti e con cui ho voluto chiudere anche il disco ed è un pezzo che mi emoziona in modo particolare tutte le volte che lo eseguo dal vivo».
Ascoltando il disco e la tua produzione si può notare come i testi hanno in sé un forte potere descrittivo, in alcune canzoni sembra proprio di leggere un piccolo racconto. Qual è il tuo libro preferito?
«Citare un libro preferito è durissima, i libri vanno in base ai periodi di vita vissuta. Un volume però che mi piace prendere in mano sempre e comunque è la collezione di poesie di Jacques Prévert».
Quale musica ha influenzato la scrittura delle tue canzoni ma più in generale la tua carriera di cantautore?
«Io sono partito a 15 anni con il rock ‘n’ roll. Quando usavo le prime paghette dei genitori per i dischi mi piaceva comprare il rock ‘n’ roll ed il rock inglese che c’era a quei tempi (ti parlo del 1985), per esempio Elvis o i Simple Minds. Poi, in verità, ho girato tantissimi generi, che in fondo è il bello della musica. I generi diversi hanno anche diversi arrangiamenti, sonorità e mi piaceva andare a scoprire tante sfumature della musica. Negli ultimi anni la cosa che ascolto di più è questa musica che arriva dalla California tipo Jack Johnson, Ben Harper, i Train. Immagina band o solisti che suonano di fronte al mare della California, si mettono lì con la chitarra acustica e danno vita a queste melodie semplici ma mai banali. In un certo senso è il sound con cui ho voluto contaminare il mio disco».
Tuo fratello Luciano ha influenzato il tuo modo di approcciarti alla scrittura, la tua musica?
«Sicuramente, siamo cresciuti insieme e comunque da venticinque anni oltre a essere fratelli, collaboriamo anche insieme e quindi in qualche modo ci si influenza vivendo tante e tante ore a stretto contatto. È un bagaglio che mi sono portato dentro e quando ho scritto le canzoni probabilmente ho messo dentro pure Luciano».
Che messaggio vuoi trasmettere con la tua musica?
«Io vorrei trasmettere sempre i messaggi del bicchiere mezzo pieno, di speranza. Sono uno che rispetto ai tempi di oggi, che sono tostissimi, non voglio unirmi al coro del lamento che c’è intorno. Ognuno ha sempre qualcosa su cui lamentarsi: lavoro, soldi, famiglia, sentimenti, gratificazione. A me in generale piace estraniarmi da questo coro. Penso che questo non possa aiutare in nessun modo. Nel senso che il lamento porta solo lamento. A me piace vedere, da buon emiliano, il bicchiere mezzo pieno, una speranza, anche nelle difficoltà trovare un’opportunità e quindi in tutte le mie canzoni faccio un’analisi dove si dice che il mondo va in quella direzione ma c’è sempre un lato di positività, energia dentro le cose. In fin dei conti se ci tolgono quella non abbiamo più niente».
Ultima domanda di rito: progetti per il futuro?
«Promuoveremo Mare dentro fino ai primi di febbraio, e poi ci fermiamo per cominciare a ragionare sul secondo disco».