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Marco Paolini: Vajont, 9 ottobre ’63

Creato il 09 ottobre 2012 da Martinaframmartino

Marco Paolini: Vajont, 9 ottobre ’63Nell’autunno del 1997 ho visto per caso in televisione un tizio, tal Marco Paolini, pubblicizzare uno spettacolo teatrale dedicato alla tragedia dei Vajont che la Rai avrebbe trasmesso di lì a qualche giorno. M’interessava? Non troppo, anche se mi spiaceva vagamente, come si provano sentimenti vaghi quando una cosa non ci tocca direttamente, per tutte le persone morte in quella che credevo fosse stata una catastrofe naturale. Però quell’attore lì sembrava proprio bravo, nei pochi secondi del suo spot mi aveva irretita, quindi avevo deciso di dargli una possibilità.

Invece quella sera sono uscita, anche se sono tornata a casa abbastanza presto. Ho acceso la televisione convinta che lo spettacolo fosse finito, e invece Paolini era ancora lì a parlare e a stregare tutti coloro che lo stavano ascoltando. Quella sera era caduto il Governo, e avevano assegnato il Nobel per la letteratura a Dario Fo, due eventi di portata tale da far allungare a dismisura il telegiornale, con la conseguenza che lo spettacolo è iniziato ed è finito più tardi del previsto. E così io ho visto gli ultimi venti minuti, quelli che si trascorrono quasi senza respirare tanta è la potenza di quello che sta accadendo.

Appena è stato pubblicato il video dello spettacolo l’ho acquistato, e ogni volta che mi è stato possibile sono andata a teatro ad ascoltare gli spettacoli di Paolini. Le mie parole non rendono certo giustizia alla forza di quello che l’attore bellunese sa trasmettere da un palcoscenico, comunque questa è la recensione che avevo scritto alcuni anni fa.

Marco Paolini: Vajont, 9 ottobre ’63

Il disegno del Monte Toc realizzato da Paolini durante lo spettacolo

Quanto vale la vita di un uomo? Quanto quella di 10 uomini? Quanto un intero paese? Domande retoriche, alle quali non è possibile dare una risposta. E qual è il valore della memoria? Che importanza può avere il ricordo di ciò che è stato, mentre corriamo verso il futuro?

Vajont. Un nome, per molti solo un vago ricordo. Qualcosa che sembra successo in un altro tempo, in un altro mondo. A qualcuno lontano da noi.

Nel 1963 non ero ancora nata. Ho letto sui libri di scuola che un giorno era franata una montagna, nei pressi di una diga, e che molte persone erano morte, ma la storia del Vajont non era, non poteva essere, la mia storia. Non c’è memoria di qualcosa lontano da noi.

Poi, una sera di ottobre del 1997 un uomo ha raccontato a tre milioni e mezzo di persone quello che era successo. In piedi, solo sopra un palcoscenico, affiancato soltanto da una lavagna e da pochi altri oggetti, ha ripercorso le vicende di due paesi e dei loro abitanti. Un lungo cammino, iniziato negli anni ’30 con le prime ipotesi e i primi studi per la costruzione della grande diga del Vajont.

Si ride, o si sorride spesso, nella prima parte dello spettacolo. Paolini, per sua stessa ammissione, inventa alcune cose, colorisce con simpatia e con delicatezza la vita e i problemi degli abitanti del luogo ma intanto, quasi inavvertitamente, segnala date e avvenimenti, chiama in causa i protagonisti con nome e cognome, spiega termini tecnici, costruendo così un quadro molto più ampio rispetto alla piccola valle bellunese che sarà teatro del dramma.

Piccoli imbrogli, superficialità nel valutare i problemi, storie di quotidiani soprusi, arroganza di un potere che pensa di poter sconvolgere tranquillamente la vita della gente comune in nome di un ipotetico “interesse superiore” accompagnano lo scorrere degli anni fino agli ultimi giorni, alle ultime ore.

Il 9 ottobre del ’63 è una bella giornata, racconta l’attore, una di quelle giornate così limpide da poter vedere il mare dalla cima del Toc. La vita scorre tranquilla a Erto, Casso, Longarone, e in tutti i piccoli paesi che hanno visto crescere la grande diga. Nessuno ha dato l’allarme, i tecnici sanno che c’è pericolo ma ancora sperano che non accada nulla. E anche se sappiamo tutti come andrà a finire non si può non essere catturati dalla voce di Paolini, quando descrive la frana. 260 milioni di metri cubi di roccia precipitano nel lago dietro alla diga e sollevano un’onda di 50 milioni di metri cubi. Acqua, terra, roccia, alberi, sembrano acquistare vita propria mentre cancellano cinque paesi dalla faccia della terra. E tutto questo non accade in silenzio. Il rumore… Chi non c’era non può immaginarlo, e per chi era lì è impossibile da dimenticare. Cosa si fa quando il mondo ti cade addosso? Quali scelte sono possibili in quei momenti disperati? Ed è ancora possibile fare delle scelte?

Il racconto del Vajont, riproposto da Paolini centinaia di volte nelle piazze e nei teatri e ora disponibile in DVD, non presenta nessuno scoop. L’attore non rivela al pubblico documenti inediti o nuove testimonianze, ma, basandosi su fatti già noti anche se spesso trascurati dai grandi mezzi d’informazione, riavvicina alle nostre coscienze una tragedia che stavamo dimenticando. “Questa è una sciagura pulita, gli uomini non ci hanno messo le mani: tutto è stato fatto dalla natura che non è buona e non è cattiva, ma indifferente” scriveva Giorgio Bocca a due giorni dalla catastrofe, e questa verità sarà sostenuta per molto tempo, anche quando emergeranno prove precise delle responsabilità umane.

Le storie non esistono finché non c’è qualcuno che le racconta, dice Paolini. Questo è il racconto del Vajont. Un racconto di parte, forse, ma che non lascia indifferenti, perché nessuno possa ancora dire “non c’ero”, o “non sapevo”. Per non dimenticare.



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