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Marco Philopat, Costretti a sanguinare

Creato il 18 luglio 2012 da Scribacchina

Il ripubblicare qui, su internet, articoli del mio personalissimo archivio ha un suo perché: al di là del (poco) valore intrinseco degli scritti, è spunto per me per andare a ripescare quel ciddì, quel libro o quel qualcosa di cui parlo; per voialtri soliti lettori è sprone a procurarvi quello stesso ciddì, quello stesso libro, quello stesso qualcosa. Che magari, in altra situazione, mai vi sareste sognati d’ascoltare/leggere/osservare.
E’ un modo come un altro per allargare la propria visuale ed essere – come dite voialtri giovini – «
open minded».

Costretti a sanguinare del Marco Philopat lo vidi un giorno in biblioteca (sarà stato maggio del 1998, a giudicare dalla data dell’articolo che poi feci per la rubrica di musica e che vi ripropongo qui sotto).
Forse nojata dai soliti classici francesi, gettai l’occhio sullo scaffale delle novità: quella copertina tutta colorata pareva gridare:
«Prendimi, Scribacchina: non te ne pentirai».
Dubbiosa, lo presi.

Il libro aveva ragione: non me ne pentii.
A malincuore, scaduto il mese di prestito, lo riportai in biblioteca, ma con sorriso sornione: già avevo deciso che, costi quel che costi, sarebbe stato mio.

Dopo lunga ricerca, lo ritrovai a Milano mesi dopo. Forse alla Feltrinelli, forse alla Mondadori, forse in altra, anonima libreria: non ricordo.
E giacché una gioia non è vera se non è condivisa, lo prestai subito a un amico più anziano che – bontà sua – avea avuto la chance di viverli, gl’anni del punk milanese. Inutile dire che pure a lui il libro del Philopat piacque immensamente.

***

Costretti a sanguinare - Marco Philopat

Luglio 1998

E’ meraviglioso ritrovare su carta stampata le situazioni, le vicende, le emozioni di un periodo storico, particolarmente se l’autore riesce a soffiare nelle parole freschezza e genuinità; Marco Philopat nel suo volume Costretti a sanguinare è riuscito nell’impresa: con una facilità, un’immediatezza disarmante racconta la saga del punk, il movimento nato alla fine degli anni ‘70 sulla scia di gruppi musicali come Sex Pistols e Clash. Uno stile accattivante, fuori dalle righe (pardon, dei trattini), quello di Philopat, che cattura; e catturano ancor di più le foto poste in appendice, immagini del passato di Marco (facente parte del movimento punk), di quello dei suoi compagni di viaggio e del Virus, il centro di aggregazione dei punk in Milano.

La parola che trionfa è ‘NO’, e trionfa con essa il concetto di ‘no future’, nessun futuro; i punk sono giovani che si sentono falliti e senza futuro già a vent’anni, che vivono il punk come ribellione al potere, al borghese perbenista, al vuoto esistenziale. Questi concetti sono espressi magistralmente da un brano dei trascinatori Sex Pistols, God Save The Queen, che in italiano suona più o meno così: «Dio salvi la Regina/ e il regime fascista/ Hanno fatto di te un idiota/ una potenziale bomba H/ Dio salvi la Regina/ Lei non è un essere umano/ Non c’è futuro nel sogno inglese/ Non fatevi dire quello che dovete desiderare/ Non fatevi dire quello di cui avete bisogno…». Inutile dire che i Pistols, oltre a far perdere la testa ai ragazzi di tutto il mondo, si attirarono l’odio dei media e delle persone più tranquille.

E’ interessante vedere attraverso lo sguardo di Philopat l’impatto che ebbe sui giovani di Milano quest’ondata di rabbia proveniente da Londra; non c’era ancora l’eroina come fenomeno di massa, ma c’erano l’alcool, le anfetamine, l’erba, la colla sniffata, le bande, le risse del sabato sera, la violenza da stadio, il vandalismo diffuso ovunque, senza contare le decine di case occupate. E c’erano anche i concerti, le iniziative, le numerose fanzine che nascevano sull’onda della ribellione (le storiche Dudu, Pogo, Xerox, T.V.O.R.) e le manifestazioni in difesa dei propri diritti, come quella al teatro di Porta Romana durante la quale i punk si ribellarono ad un’indagine ideata dal Cserde sulle devianze giovanili; mi fermo qui, altrimenti vi rovinerei la lettura del gioiellino di Philopat.

Ma il punk è stato anche il punto di partenza di una rivoluzione musicalmente intesa: senza di esso, infatti, non ci sarebbe stato l’hardcore e neppure il grunge. Musica rozza per eroi confusi, che ha continuato a perpetuarsi fino ad oggi nelle forme più varie.

Costretti a sanguinare: in inglese è We Must Bleed, titolo di un brano dei californiani Germs; Marco portava con fierezza questa frase, scritta sul proprio giubbotto. Parole indossate e vissute a fior di pelle: non so cosa potrebbe esserci di più emozionante di questo piccolo dettaglio.

Marco Philopat

«1979, le prime punk band di strada milanesi sono Jumpers, 198X, Mittageisen e infine gli HCN (nella foto, in piazza San Giorgio: da destra Lucy, Nino, Gianmaria e io). La musica era l’unica forma di comunicazione a cui ci si poteva avvicinare in quegli anni. Professionalmente zero, incapaci anche di copiare, i gruppi facevano rumore, mentre i cantanti urlavano come invasati, dimostrando così che i palcoscenici erano luoghi da smitizzare».

Marco Philopat, Costretti a Sanguinare


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