Il romanzo “Mare al mattino” di Margaret Mazzantini racconta di due viaggi, di due madri e due figli, Jamila e Farid, Angelina e Vito. Jamila e Farid fuggono dalla loro casa nel deserto a causa della guerra. Lasciano la loro esistenza povera ma felice, i giochi, le danze, i profumi del deserto.
Angelina e Vito vivono in Sicilia. Angelina è un’insegnante separata dal marito avvocato. Vito ha appena sostenuto l’esame di maturità e non sa che fare della sua vita. Forse per fare una scelta bisogna ritornare alle origini. Così madre e figlio ritornano in Libia assieme alla madre di lei, Santa.
Angelina era stata araba per i primi undici anni della sua vita, quando la Libia era una colonia dell’Italia. Dopo la fine della guerra Angelina e la sua famiglia erano stati costretti a ritornare in Italia, abbandonando la propria casa, il proprio lavoro, la scuola, le amicizie, gli amori, la vita. Giunti in Italia sono stati trattati da profughi pur essendo italiani.
Una condizione ibrida, né italiani, né clandestini, cosa che porterà Angelina a cercare una propria collocazione per lungo tempo, fino ad assuefarsi a questa condizione di precarietà, che trasmetterà senza volerlo anche al figlio, anche dopo che si sarà sposata, sistemata collocata, sarà una condizione e sensazione che non la abbandonerà mai e che si trasmetterà quasi come un peccato originale. Il ritorno in Libia alla ricerca della propria casa, dei defunti, di vecchi amori, di promesse. Ma molte cose sono cambiate.
Ciò che sembra essere la salvezza per Jamila e Farid, e per tutte le anime che realmente ogni giorno perdono la vita anelando a quelle coste, la Sicilia, è una condanna per la famiglia di Angelina (e di conseguenza anche per Vito), cui è stata strappata la terra sotto i piedi, estirpate le radici.
La Sicilia, che non si può definire, la Sicilia che è e basta, nella sua grandezza, per Angelina e la sua famiglia è solo negatività, rappresenta l’approdo dopo la tragedia, lo strappo dalla vita, per condurre la vita di qualcun altro, nel corpo si sé stessi.
Ciò che unisce queste due coppie di madri e figli è, oltre l’amore materno, l’esistenza precaria, sia nella materialità sia nelle sensazioni, descritte benissimo dall’autrice. Una scrittura che scava, molto viscerale.
Sembra che sia l’autore che il lettore si facciano trasportare, abbandonando ogni barriera. Il romanzo diventa così una storia non solo di fatti ma un ripercorrere di emozioni, promesse abbandoni, rimpianti, rabbia, alienazione, colpe individuali, colpe collettive.
Written by Miriam Caputo