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Margherita Rimi, u pisu na parola

Da Narcyso

er afarsiMargherita Rimi, ERA FARSI, autoantologia 1974-2011, Marsilio 2013
Ciò che colpisce, in questa autoantologia di Margherita Rimi, poetessa, medico e neuropsichiatra infantile, impegnata, oltre che in poesia, nella cura e nella tutela dell’infanzia e dell’adolescenza, è l’estrema ratio della parola, e non intendo una generica semplificazione o pulizia formale ma il progetto di creare intorno ai versi lo spazio di un ascolto spesso drammatico, in cui risuonano le voci dei bambini che hanno subito abusi; ma anche «dei bambini la cui infanzia è serena, gioiosa delle proprie scoperte e degli affetti sicuri in grado di tutelarla», (Daniela Marcheschi nella presentazione). E poi di donne che si confrontano col doppio, con la perdita e con l’urgenza della cura. Leggiamo così di una storia di poesia negli anni, via via arricchita da una lingua sapiente nell’isolare immagini, pensieri che sanno scavare nelle pieghe del dolore e che ce lo riconsegnano nella forma di una riflessione, di un sentire concentrato: «I tempi dei bambini / mi fanno zoppicare / mi segnano col dito // E quando toccano le cose / l’aria comincia a respirare a disegnare / la sua punteggiatura»; “Cosa sono / i morti bambini / Le croci / in ginocchio // Cosa contano / i chiodi dai muri // Quale pane quotidiano / Quale donna è benedetta / E’ senza miracolo / questa morte». Così, il tema del libro sembra essere l’amore, la mancanza dell’amore e la sua necessità: «Riparami madre / dalle tue braccia // dai malcurati amori / dai tuoi terrori // Non parlarmi più // Devi trovarmi // Devi indovinarmi // E’ pure mio / tutto lo spavento tuo / di esistere». Una figlia, dunque, che si rivolge alla madre; una donna che si rivolge a bambini senza cura; una lingua che sembra volersi confrontare con i manierismi della letteratura per allontanarli il più possibile. In questo progetto di lingua e di etica, il suono della propria parlata – il dialetto siciliano – e delle contraddizioni della propria cultura – soprattutto il tema del doppio espresso nell’opera, forse più alta, quella di Luigi Pirandello – finiscono per arricchire il tessuto esperienziale, e di conseguenza espressivo di questa scrittura. Forse per sondare un altro tema non espressamente dichiarato, e cioè quello della vicinanza e dell’appartenenza alle ragioni più profonde delle proprie origini: «Il figlio degli uomini / O di uno o di nessuno. // Si sapeva che era il figlio // La vera distanza / l’ipotesi del padre / L’insieme dell’uno / senza l’altro»; «Unu cca l’atru dda // Facemmu accussì / Tinemmuni nzemmula // Scartammu: / U pisu / na parola. // U pisu / na parola.

Sebastiano Aglieco

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