Mari o Monti

Creato il 12 novembre 2011 da Sogniebisogni


Metà Carnevale anticipato e metà Capodanno-bis, il solito svacco accoglie il passaggio di consegne che segna la fine dell’era del Nanarca. Rimarranno alla storia i trenini e l’alleuja nella piazza del Quirinale, le lacrime ottuse di un Fede super-sbronzato da qualche doping stimolante, i sorrisi a trentadue denti dei terzopolisti che sentono di aver messo finalmente le mani sulla sospirata fetta di torta. Da domani ricominciano (ma si erano mai arrestati?) i mugugni di scontentezza che mettono in inopinato asse Giulietto Chiesa e Giulione Ferrara, i pensionati baby artigliati attorno ai diritti acquisiti e i perenni evasori fiscali preoccupati per il panfilo ormeggiato a Portofino, i supersinistri che combattono lo Stato Imperialista delle Multinazionali e i casi-paund nostalgici del Medioevo celtonazista preconizzato dai film porno degli anni Settanta. Gli altri tornano semplicemente alle loro occupazioni e incrociano le dita. Personalmente non rimpiangerò mai il Re Nano come non rimpiango l’era del CAF.

Se esistesse qualcosa come una sensazione di parziale déjà-vu sarebbe il caso di evocarla perché è una notte entusiasta e miserevole come quelle del ’93 e di Tangentopoli. Il popolo vindice con monetine e cori, il silenzio nauseato di una maggioranza che pure dette consenso cieco pochi anni prima, è tutto uguale persino la crisi economica e il governo tecnico. Manca il futuro, la sensazione di possibilità, il brivido dell’azzardo, tutto sostituito dall’imbocco di un tunnel che forse alla fine si riavvolge su se stesso come un nastro di Moebius, riportando questo paese sempre alle proprie origini, al re che fugge la notte, ai capoccioni di bronzo gettati dalle finestre, ai vilipendi sotto i distributori di benzina. Ma la storia si muove, come la ruota dentata che appare sui nostri documenti di identità, incardinata su uno stellone che sembra sempre più distante. Schiaccia e si macina tutto, prima o poi anche noi. Restiamo a vedere questo spettacolo, a godere di questa confusione, a volte bella, che si chiama vita.


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